È il 13 novembre. È passata una settimana da quando l’ormai ex segretario generale del Garante della privacy, Angelo Fanizza, ha intimato una consegna massiva di dati prelevati dai computer dei dipendenti dell’autorità per beccare la talpa, o le talpe, che stanno passando informazioni sull’ente a Report e a Il Fatto Quotidiano. E il caso arriva al tavolo del collegio dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali. Quando Fanizza prende in mano la lettera con cui ha ordinato la pesca a strascico dei file dei lavoratori, il collegio afferma di averlo bloccato, come ha comunicato successivamente in una nota alla stampa nella serata di venerdì 21 novembre, dopo che il caso è diventato pubblico.
“Nel corso dell’adunanza del 13 novembre, l’ex segretario generale ha informato verbalmente il collegio della sua richiesta trasmessa al dirigente di accedere alle e-mail dei dipendenti – recita la nota -. Il collegio ha, di conseguenza, segnalato al segretario generale la natura sproporzionata e illecita della richiesta”.
Ma cosa è successo in quella stanza? Wired è in grado di ricostruire per la prima volta gli scambi e la tensione generale che hanno caratterizzato l’assemblea del personale di piazza Venezia del 20 novembre, quando il tentativo di Fanizza è stato rivelato pubblicamente ai dipendenti e ha portato, nella serata dello stesso giorno, alle dimissioni del magistrato contabile, con un passato al Tar del Lazio. E, quindi, anche cosa è successo il 13 novembre, perché il contenuto di quell’adunanza è stato discusso poi davanti ai lavoratori dell’ente.
Il tentativo di sorveglianza smascherato in assemblea
Torniamo quindi alla mattinata di giovedì 20 novembre, quando il collegio del Garante si riunisce in assemblea con il personale. È qui che esplode il caso della lettera dell’ex segretario, rivolta al responsabile dei servizi informatici, Cosimo Comella, che si è opposto al tentativo di raccogliere email, accessi vpn e metadati sulle attività informatiche dei lavoratori. E il collegio, presieduto da Pasquale Stanzione e composto da Agostino Ghiglia, Guido Scorza, Ginevra Cerrina Feroni, deve spiegare cosa abbia fatto in merito.
“La lettera che oggi il dottor Comella ha distribuito e credo che Guido [Scorza, ndr] lo potrà confermare, non l’abbiamo vista e non l’abbiamo letta neanche in collegio”, spiega all’assemblea la vicepresidente Cerrina Feroni. E aggiunge: “Posso soltanto dire che quando il segretario generale ce ne ha parlato e ci ha espresso l’inizio del contenuto, diciamo, di questa richiesta che aveva fatto, ovviamente come collegio abbiamo detto che quella richiesta delle email del Garante non si poteva fare”.
L’assemblea è al calor bianco. Circa centocinquanta persone, quasi tutte quelle in organico al Garante, sono presenti all’incontro fisicamente o collegate da remoto tramite Zoom. Nato come un momento per appianare le divergenze tra i vertici e la struttura e finito con la scoperta della mossa dell’ex segretario. Proprio Fanizza cerca di rassicurare i dipendenti sul fatto che, nel tentativo di fermare le fughe di informazioni, non c’è comunque stata alcuna attività volta a coinvolgere le autorità. Né è stato dato incarico ad alcun soggetto esterno, spiega. “Io come segretario generale non ho dato alcun mandato a soggetti privati né formalmente né informalmente di fare verifiche sull’autorità, anche perché essendo magistrato sarebbe singolare che un magistrato si rivolgesse a un soggetto privato e non a un soggetto pubblico”, chiarisce davanti ai dipendenti, come può ricostruire Wired.
L’ordine dell’ex segretario bloccato
Ma è una spiegazione che non basta. E le risposte portano ad altre domande. Ci sono stati incarichi a dirigenti interni? chiede qualcuno. Detto altrimenti: il segretario ha ordinato a qualcuno internamente di scovare la talpa? La risposta iniziale è secca: no. “Ci sono attività che il segretario generale può rendere note e attività riservate che comunque sicuramente non ledono i diritti dei lavoratori”, si giustifica ancora Fanizza, che, come può riferire Wired, riconosce di aver fatto delle “verifiche con alcuni dirigenti competenti nell’ambito di attività riservate”. Ancora, il segretario allude a verifiche informatiche e spiega che la fuga di informazioni potrebbe essere passata anche da un buco nei sistemi o da qualche dipendente reo di aver allungato i dati giusti alla stampa. “Nessuno in questa stanza può essere aprioristicamente escluso dall’aver posto in essere delle condotte più o meno attente o scriteriate”, insiste Fanizza.



