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giovedì, Set 12

Il Giappone non sa più dove mettere l’acqua contaminata di Fukushima


Ora è stoccata nella centrale, ma inizia a mancare lo spazio: la soluzione potrebbe essere riversarla nel Pacifico nel corso di anni, ma c’è chi è preoccupato per le conseguenze sull’ambiente e chiede che vengano percorse altre strade

I serbatoi che contengono l’acqua contaminata (foto: BEHROUZ MEHRI/AFP/Getty Images)

Sta facendo discutere l’intenzione del Giappone di riversare grandi quantità di acqua contaminata da radiazioni nell’oceano Pacifico a partire dal 2022. L’acqua è radioattiva a causa del terremoto e dello tsunami che hanno colpito il paese nel 2011, quand’è stata usata dalle autorità nipponiche per raffreddare i reattori delle centrale di Fukushima che, dopo essere stati colpiti dall’onda anomala, avevano iniziato a surriscaldarsi e fondersi. Sempre in quel periodo, l’acqua delle falde acquifere aveva inoltre iniziato a raggiungere i reattori e a venire a contatto con gli isotopi nucleari.

Finora della questione si è occupata Tepco, l’azienda energetica giapponese che gestisce l’impianto di Fukushima e che ha costruito più un migliaio di serbatoi per stoccare il liquido contaminato. L’acqua proveniente dalle falde acquifere continua però a mescolarsi con quella contaminata e a diventare, a sua volta, radioattiva: dall’estate del 2022 non ci sarà più spazio per tenerla all’interno della centrale. Per farsi un’idea, già ora si calcola che ci sia più di un milione di tonnellate di acqua contaminata. La soluzione proposta, quindi, è riversarle nel Pacifico.

Sì, ma a che costo?

Il ministro giapponese dell’Ambiente Yoshiaki Harada crede che gettare quest’acqua nel mare sia l’unica strada percorribile, ma il governo non vuole prendere nessuna decisione senza sentire prima cosa ne pensano gli esperti di ambiente e inquinamento.

Teoricamente, lo sversamento non sarebbe dannoso per l’uomo perché, come ha spiegato il fisico nucleare Enrico d’Urso a Open, il corpo umano può tollerare concentrazioni di trizio – l’isotopo dell’idrogeno che rende radioattiva l’acqua. A risentirne sarebbe, semmai, la fauna marina e la qualità del pescato, motivo per cui la Corea del Sud ha convocato un funzionario giapponese e chiesto chiarimenti sul progetto.

Per ora il piano è ancora in una fase iniziale ma si sa già che, se si optasse per questa ipotesi, lo sversamento avverrebbe in fasi separate. Hiroshi Miyano, la persona che si sta occupando dello smantellamento della centrale di Fukushima, stima che ci vorranno circa 17 anni per scaricare tutta l’acqua, visto che prima dovrebbe essere diluita per sicurezza.

Le altre ipotesi al vaglio

Lo sversamento non è l’unica opzione sul tavolo: si è anche parlato di vaporizzare l’acqua o di depositarla nei terreni intorno all’impianto, poiché dopo il disastro hanno perso valore e sembrano destinati all’abbandono.

L’ong ambientalista Greenpeace non è d’accordo: il mare non è una discarica e bisogna continuare a stoccare l’acqua e a filtrarla, ha spiegato. Il governo però sostiene di averci già provato e di essere riuscito ad estrarre il cesio e lo stronzio radioattivo, ma non il trizio. Secondo Greenpeace, il problema principale tuttavia sarebbero i soldi, poiché sono stati proposti dei trattamenti ma il loro costo superava di gran lunga un miliardo di dollari.

Tempo fa il governo ha anche speso centinaia di milioni di euro per costruire una barriera per impedire alle acque sotterranee di raggiungere i tre reattori danneggiati. Grazie a questo sistema, la contaminazione è diminuita ma non si è fermata e, ogni giorno, diverse tonnellate di acqua hanno continuato a venire a contatto col materiale radioattivo.

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