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Il giardino delle vergini suicide, l’analisi e il significato del film cult di Sofia Coppola

da | Apr 22, 2025 | Tecnologia


Il giardino delle vergini suicide appartiene ad una categoria molto ristretta, quella degli inizi dietro la macchina da presa che fanno la storia del cinema. Arrivato in sala negli Stati Uniti con una distribuzione limitata il 21 aprile del 2000, dopo essere stato presentato l’anno prima al Festival di Cannes, il film segna l’esordio di Sofia Coppola, il primo film di una carriera unica, capace di donarci squarci di bellezza non di poco conto.

Un dramma onirico sull’oppressione domestica

Il giardino delle vergini suicide dopo un quarto di secolo, è un film che ha ancora molto, moltissimo da dare, in termini di bellezza e significato, di esemplificazione di un stile portatore di un contenuto preciso e tutt’altro che trascurabile. Opera molto personale, molto voluta da parte di Sofia Coppola, che trae ispirazione da un romanzo, anch’esso opera prima, di Jeffrey Eugenides. Una stesura da parte di Nick Gomez non era piaciuta alla Muse Productions, quella della Coppola invece, appare fin da subito qualcosa di diverso, di più importante e puntuale. Al centro de Il giardino delle vergini suicide vi è una famiglia delle middle class di Detroit, in quegli anni ‘70 turbolenti e pieni di contestazione giovanile.

Mr. (James Woods) e Mrs. Lisbon (Kathleen Turner), sono dei genitori alquanto severi e freddi, la madre in particolare è dittatoriale verso le figlie Therese (Leslie Hayman), Bonnie (Chelse Swain), Lux (Kirsten Dunst), Mary (A. J. Cook), e Cecilia (Hanna R. Hall), privandole della socialità e delle esperienze che le altre loro coetanee sperimentano più o meno liberamente. Quando Cecelia si suicida, in preda alla disperazione per quell’esistenza monca e l’insensibilità del mondo che la circonda, Lux, la più indocile delle sorelle, comincia a frequentare un coetaneo, il rubacuori della scuola, Trip Fontaine (Josh Hartnett), a dispetto dell’ostilità dei genitori. Sarà l’inizio di un tentativo di ribellione, che avrà un epilogo drammatico, sanguinoso, un suicidio collettivo da parte delle ragazze.

Companion

… come le intelligenze artificiali senzienti, la cultura incel, la misoginia e l’emancipazione femminile

Quel gesto estremo Sofia Coppola lo anticipa (in modo ardito e per certi versi radicale) già dall’incipit di un film esteticamente meraviglioso. Ne Il giardino delle vergini suicide possiamo già trovare tutti quei capisaldi, che poi renderanno il suo percorso di regista così riconoscibile, così intenso e per certi versi incapace di lasciare indifferenti, anche quando magari poco gradito. La sua voce narrante ci accompagna dentro questo racconto onirico, malinconico, spesso straniante, dove la mera quotidianità nelle mani della Coppola, diventa un’analisi non da nulla sulla distanza generazionale, sulla società come dittatura verso la gioventù e la sua volontà di scoperta. Non un caso infatti, che un altro personaggio negativo oltre ai genitori, sia anche Padre Moody (Scott Glenn).

La Chiesa è illuminata da una luce ipocrita, paternalistica e bugiarda, complice di un oscurantismo ributtante, agganciato ad un radicalismo religioso onnipresente. Vi è un parallelo continuo in Il giardino delle giovani suicide tra la sofferenza di quelle ragazze e quella della natura, la stessa Cecilia ci appare come quella di un folletto, uno spirito puro, la cui sensibilità è la sua dote più preziosa e assieme la sua condanna. Si suicida nel momento in cui anche le sorelle gli appaiono crudeli, per le angherie verso Joe, un coetaneo con Sindrome di Down. Succede durante una festa organizzata dai genitori dopo il suo primo tentativo di suicidio, un evento che Coppola dirige magistralmente per come riesce a donarci una sensazione di artificiosità, un’accresciuta atmosfera di oppressione genitoriale.

La distanza generazionale e la ribellione giovanile

Il giardino delle vergini suicide è ambientato esattamente a metà di quegli anni ’70 dove un’ondata di suicidi tra le giovani generazioni esplode, ed è un’analisi poetica, struggente e a tratti violentissima, sulla distanza generazionale, sulla distruzione del concetto di famiglia, del focolare domestico. Siamo sempre in un qualcosa a metà tra la New Hollywood e l’Indie americano. in un film settato secondo il punto di vista dei due genitori, a cui James Woods e Kathleen Turner sanno donare la perfetta unione di insensibilità, bigottismo e manipolazione. Poi però Lux riesce a sperimentare il sesso, la libertà del proprio corpo e delle proprie intenzioni, in modo anche sfacciato, ma non cessa per questo il presagio oscuro che aleggia sulle loro teste bionde e quei sorrisi di facciata.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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