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sabato, Apr 11

Il Matteo Salvini che grida alla svolta autoritaria di Conte è un omonimo?



Da Wired.it :

A nemmeno un anno dalle conferenze stampa al Papeete, le “zingaracce”, le dirette su Facebook, le lodi a Orban e i contestatori schedati, grazie al premier l’ex ministro di ferro si è improvvisamente riscoperto garante delle procedure democratiche

Se fosse una gag di Corrado Guzzanti, sarebbe riuscitissima: un’ex ministro dell’Interno di ferro, con un penchant per i “pieni poteri” e “l’amico Victor Orban” (per citarlo) si riscopre profondamente sensibile al rispetto delle procedure della democrazia, diventando nel giro di un batter d’occhio un irreprensibile galantuomo della politica insolentito da una canaglia (il premier Giuseppe Conte, che com’è noto ha fatto il suo nome – e quello di Giorgia Meloni – durante una comunicazione emergenziale al paese, per attaccarlo duramente). Matteo Salvini, novello Solženicyn, ha reagito twittando in tempo reale, caps lock compresi: “USARE la tivù di Stato per dire falsità e fare un comizio contro Salvini e contro le opposizioni è roba da REGIME, roba da Unione Sovietica”.

Ora: se è evidente la sgradevolezza della scelta inopportuna di Conte, che di fatto si è servito di un momento di unità nazionale per attaccare le opposizioni, macchiando di polemica politica un momento e una funzione che meritavano ben altro, è altrettanto noto che gli ultimi a poter condannare da alti scranni questo tipo di comportamento sono l’ex ministro e il suo entourage di sodali e ammiratori.

Salvini può provarci, a mostrarsi un irreprensibile galantuomo della politica insolentito da una canaglia fuori controllo, ma al di là dei suoi tentativi di spin comunicativo rimane la realtà: quella in cui il primo agosto del 2019 l’allora ministro dell’Interno convocava una conferenza stampa in ciabatte in un locale di Milano Marittima, il Papeete, per parlare di riforma della giustizia; quella in cui, in quello stesso giorno, il suddetto ministro si riferiva con linguaggio altamente istituzionale, quasi einaudiano, a una donna senza fissa dimora apostrofandola come “zingaraccia”; quella in cui quello stesso ministro gestiva la sua personale guerra agli sbarchi dal suo personale profilo su Facebook, alternando battage propagandistico a messaggi istituzionali sulla linea da seguire; quella, ancora, in cui un ministro recentemente detronizzato si faceva riprendere nell’atto di citofonare a casa di un privato cittadino. E si potrebbe continuare ancora a lungo.

Per tutti questi motivi, ben venga il sopracciglio alzato dell’opposizione davanti alla crisi di nervi di Conte a reti unificate, è cosa buona e giusta. Ma cerchiamo di rimanere nel perimetro del pudore e del rispetto per l’intelligenza dei cittadini elettori: se fino a ieri i toni giacobini, i “pieni poteri”, i giubbotti delle forze dell’ordine – le stesse da cui facevi identificare i contestatori o che mandavi a rimuovere gli striscioni dissidenti dai palazzi – e le cubiste che cantano l’inno di Mameli erano parte orgogliosa del tuo programma politico, oggi non cercare di fregarci gridando al regime (anzi, al “REGIME”) sovietico, onorevole Matteo Salvini. Non ci risulta che tu ti sia mai trovato particolarmente a disagio coi regimi dell’est, ma anche fosse, non si diventa François Mitterrand con un tweet indignato.

Cito una boutade di un amico dedicata a Giorgia Meloni, ma che si applica perfettamente anche alla reazione costernata dello statista padano: “Ha praticamente dato del dittatore a Conte. Ma non ho capito se intendeva criticarlo o fargli un complimento”. Capisco che l’emergenza democratica del vicino è sempre più verde, ma c’è anche un limite, passato il quale non si può più venire presi sul serio: se è preoccupato per la tenuta democratica del paese, il senatore Salvini firmi un appello degli intellettuali su Repubblica, si faccia crescere una barba pensosa e magari pubblichi un saggio su Rosa Luxemburg. Noi vogliamo essere mentalmente aperti e concedergli il beneficio del dubbio.

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[Fonte Wired.it]