Seleziona una pagina
giovedì, Ott 07

Il medico di base del futuro deve allearsi con l’intelligenza artificiale



Da Wired.it :

Novartis, Ibm e Net Medica lanciano una piattaforma clinica digitale, Openet: alle porte c’è un cambio di paradigma – urgente – per il ruolo dei medici di famiglia

Pepper
Il robot Pepper

Sono almeno un paio le direzioni verso cui la sanità italiana è chiamata a evolvere nei prossimi anni, come la pandemia di Covid-19 ha reso evidente. Oltre al trend più generale della medicina personalizzata, da un lato c’è la medicina di prossimità, ossia quella territoriale vicina al paziente, e dall’altro la cosiddetta medicina di iniziativa, in cui non si aspetta più passivamente che il paziente arrivi da sé in ospedale (magari con colpevole ritardo) ma si va incontro proattivamente a chi ha necessità di una valutazione clinica, proponendo soluzioni ad hoc e puntando su diagnosi precoce e gestione da remoto.

In questo contesto è notizia recentissima l’introduzione di Openet, un sistema digitale open source per supportare i medici di medicina generale, nato con l’ambizione di fare guadagnare tempo al medico di famiglia, così che possa avere più energie da dedicare ai pazienti, oltre a creare una connessione diretta con gli specialisti. Uno strumento realizzato da Net Medica Italia sulla base delle informazioni medico-scientifiche di Novartis e che sfrutta le potenzialità di Ibm Watson, proposto per individuare con l’ausilio algoritmico dell’intelligenza artificiale i pazienti più fragili e che necessitano di attenzione, consentendo anche una gestione (per quanto possibile) da remoto del percorso di cura, supportando il medico di base anzitutto nell’assistenza del paziente cronico.

Ciò che una piattaforma come Openet sottende, e che anche le cronache dipingono come necessario e urgente, è un ruolo rinnovato del medico di famiglia all’interno dell’ecosistema sanitario. Questo sia per dare risposta concreta agli obiettivi della Missione 6 del Piano nazionale di ripresa e resilienza (il Pnrr) – che punta su cure territoriali, visite a domicilio, telemedicina e Centrali operative territoriali – sia per sfruttare la tecnologia sanitaria per fare sì che il medico di base possa dedicarsi ad attività ad alto valore, appoggiandosi per le mansioni più ripetitive alla tecnologia stessa. Di questo abbiamo discusso per Wired con Pasquale Frega, country president e amministratore delegato di Novartis Italia.

Pasquale Frega, in che modo in concreto una piattaforma clinica digitale dotata di intelligenza artificiale rappresenta una risposta al Pnrr?

“L’esperienza della pandemia ha cambiato il senso di urgenza da parte di tutti nel dispensare le cure. Oggi c’è ancora una latenza incredibilmente lunga nel periodo che va dalla diagnosi alla terapia, con dati impressionanti riguardo alle tempistiche con cui avviene il percorso del paziente, anche per malattie gravi. La pandemia ha sensibilizzato l’opinione pubblica, la classe medica e la politica sulla necessità di diventare molto più reattivi, prendendo in carico i pazienti già all’insorgere dei primi sintomi. E c’è molto da fare. Nell’estate 2020 sono stati messi a disposizione delle regioni 500 milioni di euro con l’obiettivo di ridurre le liste d’attesa, e dopo un anno questi fondi non sono ancora stati spesi: solo di recente il Ministero della salute ha creato una task force specifica per affrontare la questione.

“In questo contesto il ruolo del digitale è di scovare, negli enormi database sanitari di cui disponiamo, informazioni utili per accelerare la diagnosi e la cura dei pazienti. I dati italiani in sanità sono spesso definiti lo sleeping giant, poiché sono dati che nessuno utilizza. La piattaforma clinica digitale Openet è solo un esempio di come al medico possa arrivare, grazie all’intelligenza artificiale, un’informazione puntuale sulla necessità di presa in carica di un paziente, magari perché non è stato visitato da molto tempo, perché ha mancato un esame di follow-up o perché è andato dallo specialista senza poi chiudere il cerchio tornando dal medico di base.”

Pasquale Frega, amministratore delegato di Novartis Italia

Quali sono i vantaggi che il digitale può portare, non solo in generale sul sistema sanitario, ma in particolare sul lavoro quotidiano del medico di famiglia?

“Lo abbiamo visto bene nella fase di test per Openet in cui sono stati coinvolti 600 medici di base, e ce ne sono altri 1.000 in attesa di partire: una piattaforma digitale consente non solo di fare teleconsulti, ma anche di individuare quali pazienti ne hanno necessità (pur senza avere richiesto un appuntamento) sulla base di criteri algoritmici. Se a seguito del consulto il medico ritiene che il paziente vada visitato da uno specialista, può organizzare tutto già in piattaforma, realizzando una triangolazione ospedale-territorio-paziente che non a caso è un tratto fondante del nuovo disegno del sistema di cure italiano finanziato dal Pnrr.

“Tutti conosciamo situazioni di pazienti che si perdono nel percorso di cura perché non è sufficientemente strutturato: Openet, installato sul device del singolo medico, ha l’obiettivo di semplificare questo percorso, ed è da notare che non fa uso di database speciali, ma opera nel database esistente già usato dai medici di famiglia. Come il nome suggerisce, i punti cardine sono anzitutto la presenza di un network aperto tra i diversi attori del sistema, e poi un sistema accessibile che possa essere adottato senza barriere.

“Credo sia utile dare dimostrazioni concrete di quale sia la potenzialità del digitale in una gestione dei dati che ne sappia cogliere tutte le opportunità. I medici di famiglia escono da una fase difficilissima in cui, durante la parte più acuta della pandemia, sono stati in prima linea e per primi sono stati travolti dell’emergenza sanitaria, trovandosi inizialmente da soli. Avere un assistente virtuale che favorisce una medicina di iniziativa mostra come si possa oggi lavorare in maniera completamente diversa, più smart. Dopo le prime sperimentazioni pilota su scompenso cardiaco e psoriasi, e dopo i feedback positivi che abbiamo ricevuto, ora la volontà è di estendere Openet ad altre patologie, potenzialmente senza alcun limite.

Anche qui FIMMG potrebbe essere sensibile, secondo te potrebbe essere un pochino ammorbidita, facendo passare il concetto che più che perdere il controllo gli MMG sono stati i medici in prima linea e che per primi sono stati travolti dell’emergenza dove inizialmente si sono ritrovati da soli. Che ne pensi?

L’amministratore delegato di Ibm Italia Stefano Rebattoni, a proposito di Openet, ha detto che “l’elemento centrale per supportare il continuum di presa in carico, diagnosi, cura e assistenza del paziente sono le informazioni che tecnologie come cloud, IA, blockchain e IoT possono rendere disponibili con tempestività”: in futuro ritiene sia imprescindibile un’alleanza tra il mondo farmaceutico e quello delle aziende big tech?

“La convergenza di know how e tecnologie diverse sta cambiando la faccia della sanità negli ultimi anni. Mettere attorno a uno stesso tavolo tre partner come Novartis, Ibm e Net Medica, ossia far dialogare la parte scientifica con quella tecnologica, è stato decisivo per lo sviluppo di questa piattaforma e non solo. Senza la volontà di collaborazione e di convergenza non si possono realizzare progetti di questo genere, semplicemente perché nessuna delle realtà da sola possiede tutte le competenze necessarie.

“Ciò che è stato realizzato è una proof of concept del fatto che la tecnologia può impattare il quotidiano del paziente e del medico. Spesso i pazienti, i familiari e i caregiver sono obbligati a seguire percorsi tortuosi fatti di interminabili ore di attesa e viaggi della speranza: tutto può essere impattato e ottimizzato grazie sistemi capaci di unire il know how clinico con quello tecnologico. E come ulteriore rafforzativo di questo trend, l’osservatorio Digital Transformation del Politecnico di Milano ha posizionato la salute e la sanità come l’ambito più lontano in assoluto dal vortice digitale: ciò significa che è il comparto in cui ci sono le maggiori opportunità di trasformazione digitale e il minore rischio che l’effetto di accelerazione indotto dalla pandemia si riveli una bolla. Siamo solo all’inizio del percorso, molto lontani dal cogliere tutte le opportunità.”

Una piattaforma digitale, uno strumento di telemedicina, crede possa essere sufficiente a controbilanciare il calo di prestazioni sanitarie e di diagnosi che si è registrato contestualmente all’emergenza Covid-19?

“Quella che abbiamo lanciato è una soluzione valida, ma è solo un esempio: per impattare in maniera significativa il problema delle liste d’attesa e del calo delle prestazioni sanitarie serviranno altre soluzioni in parallelo. Il momento è quello giusto non solo perché le liste di attesa si sono ingrossate e si è registrato un calo del 37% nelle prestazioni del servizio sanitario nazionale durante i mesi più acuti della pandemia, ma anche perché ci si è resi conto che bisogna cambiare modo di lavorare. Non si può più aspettare passivamente che i pazienti si presentino dal medico e che una volta arrivati facciano la fila fuori dallo studio: la possibilità di salto tecnologico vista durante la pandemia ha finalmente aperto i recettori anche degli operatori sanitari su questo tema, si è capito che occorre combattere l’inerzia e che in questo la tecnologia è un grande aiuto. Se prima della pandemia il medico di famiglia sarebbe stato restio a questo genere di cambiamento, oggi la mentalità è completamente diversa.”

In proposito, come dovrà evolvere la fugura del medico di medicina generale per adeguarsi a un’infrastruttura di assistenza al paziente sempre più digitale?

“Il trend degli ultimi anni è stato di trasformare il medico di base in un burocrate con mille adempimenti da fare e sempre meno tempo per fare clinica ed essere proattivo verso il paziente. La tecnologia riduce il carico burocratico e lascia tempo per analizzare i database sanitari, con la possibilità di richiamare alle cure i pazienti trascurati.

Questa trasformazione può essere decisiva per il nuovo sistema di cure del paese, e il medico di base può diventare il gatekeeper che orchestra il percorso di cura del paziente. In passato ci sono stati progetti in questa direzione lanciati per esempio in Lombardia, che non sono andati in porto semplicemente perché troppo presto, eravamo nel pre-pandemia e il senso di urgenza era completamente diverso. In quell’ottica il medico di base poteva solo mandare il paziente in ospedale, costringendolo peraltro a lunghe liste d’attesa, mentre in futuro lo stesso medico avrà un ruolo più simile a quello di un manager della sanità e del percorso di cura del paziente.”

Qual è a suo parere l’urgenza più stringente in termini di abilitazione di una reale medicina territoriale?

“Partiamo dal percorso del paziente, nell’ottica della corsa contro il tempo e della facilità di accesso alle cure: il Pnnr consente di disegnare il nuovo sistema modificando l’accesso agli ospedali come lo conosciamo oggi, creando nuovi livelli di cura più vicini al domiciliare. La Conferenza Stato-Regioni ha da poco siglato su accordo per 1.250 nuovi presidi territoriali locali, già entro il 2026. Il paziente prima di recarsi in ospedale avrà strumenti domiciliari, un’unità locale a distanza molto breve e poi un centro di cure di bassa intensità per degenze brevi come il day hospital, tutto prima di andare – quando necessario – nel centro di cure più importante. Immaginare questo sistema senza un supporto digitale è impossibile: se non c’è una cartella clinica consultabile da un livello di cura all’altro dei quattro disponibili, ogni livello dovrebbe rifare tutto da capo e sarebbe qualcosa di assurdo che renderebbe inutile l’intero sistema. Per questo la digitalizzazione delle cure, la cartella clinica digitale e le piattaforme che permettono l’interfaccia tra i livelli sono la base di questo nuovo modello.”





[Fonte Wired.it]