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domenica, Nov 22

il nemico è davvero Amazon?

Da Punto-Informatico.it :

Chiedersi se il nemico sia Amazon è come chiedersi se il nemico sia il Covid o il lockdown. Non solo: chiedersi se il nemico sia Amazon è già in sé un po’ un’ammissione di colpa, perché quando si cerca il nemico molto spesso è perché non si è trovata la forza di reagire di fronte ad una difficoltà. Questo non vuol dire che non si debba cercare un equilibrio più sobrio, né che si debba chiudere gli occhi e lasciar tutto alla “mano invisibile del mercato”. Questo, soprattutto, non vuol dire che in epoca di pandemie non sia lecito anche abbandonarsi ad un pizzico di autotutela di fronte a onde lunghe che rischiano di travolgere lasciando soltanto macerie.

Tuttavia, prima di fermare la propria pulsione ad evolvere di fronte all’avvenuta decisione di aver identificato un nemico, bisogna riflettere e capire, perché il rischio in queste fasi è sempre il solito: confondere il sintomo con la malattia.

Il nemico che non c’è

La realtà è che non c’è un nemico. La realtà è che questa è una guerra anomala, perché pur mettendoci gli uni contro gli altri, è scatenata in realtà da agenti esogeni che nulla hanno a che vedere con noi, con loro, con gli altri. Lo dice la politica, lo dice la Chiesa, lo dicono i sociologi e senza che tutti lo dicano lo abbiamo comunque tutti ben compreso: la pandemia genera attriti, mette i singoli gli uni contro gli altri e per tutti è naturale guardarsi attorno con fare difensivo. Così, per proiezione, avviene anche per tutti coloro i quali hanno in mano un piccolo esercizio commerciale e si trovano disarmati di fronte alla pandemia: di fronte al grande cambiamento c’è chi evolve e chi recrimina, ma è la storia a raccontare chi dei due si salverà.

In queste settimane si sono visti più volte cartelli anti-Amazon durante le proteste di piazza da parte di settori che si sentono danneggiati dalle chiusure e che chiedono pari trattamento. Come a dire: se chiudete noi, chiudete anche Amazon. Sulla scia di questa pulsione si sta cercando di arrivare a compromessi di apertura pre-natalizia, come se ciò possa davvero cambiare le sorti di una stagione nata male e finita peggio, ben sapendo che questa libertà rappresenta un rischio abnorme per la stagione primaverile degli stessi esercenti.

Di fronte alla rabbia serve comprensione e massima tolleranza, perché anche lo sfogo è giusto e comprensibile. Tuttavia non bisogna perdere il raziocinio. Non va fatto soprattutto nel rispetto delle piccole aziende che grazie ad Amazon vendono e fatturano ogni giorno (questo è il loro Black Friday, anche in pieno lockdown), né nei confronti di quanti al cospetto della pandemia hanno reinventato le proprie attività, hanno attivato sistemi di consegna, hanno costruito community e tutto ciò senza puntare il dito contro nemici immaginari.

Va fatto sulla base dell’esperienza del passato, quando non c’era protesta di piazza che non si scagliasse contro le vetrine di un Blockbuster che di lì a pochi mesi sarebbe scomparso: quello che era visto come il male assoluto del mondo globale, dal mondo globale stesso è stato seppellito.

Questo non significa che i ragionamenti sul peso delle multinazionali non debbano essere approfonditi. Anzi! Questo non significa che non si debbano stringere le fila quanto prima sul tema della webtax. Anzi! Questo non significa che non si debbano introdurre meccanismi di tutela per quanti, oltre ad avere un peso sulle economie locali, con le proprie attività portano avanti anche un ruolo di collante sociale e di utilità tanto microscopica quanto feconda. Anzi! Semplicemente, non bisogna abbandonarsi alle semplificazioni anti-Amazon, come se scagliarsi contro un brand possa liberarci da ogni male. Sarebbe come togliersi la mascherina per protestare contro un virus, del resto. Cosa che succede, ma che non aiuterà nessuno, tantomeno chi protesta.

Quando questa ondata sarà terminata, il discorso si sposterà probabilmente in un’area ben più “alta” di quanto non sia stata negli anni passati o in questi mesi. Il mondo del “poi” non sarà quello di “prima” e servirà un grosso impegno collettivo per capire quali siano i correttivi da introdurre sul mercato globale e su quello del lavoro. Ma non si potrà fare ragionamenti di questo tipo se ci si lascerà influenzare da pregiudizi o da sentenze scritte con il rancore. Se vogliamo che vada tutto bene, è questo il momento di pensare non a ciò che siamo stati prima di tutto ciò, ma a ciò che vorremo essere dopo. Come individui, come professionisti, come aziende.



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