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lunedì, Gen 13

Il noir Giri/Haji è la serie più bella del 2019 che nessuno conosce(va)


Coproduzione di Bbc e Netflix, il poliziesco anglonipponico incentrato su un sicario della yakuza, dal 10 gennaio sulla piattaforma digitale, convince e ammalia

Giri/Haji è la serie britannica più suggestiva e sottovalutata dello scorso anno. Per fortuna, così come era accaduto alla serie di Channel 4 The End of the F***ing World, la sua distribuzione internazionale è assegnata a Netflix, e il suo destino potenzialmente indirizzato verso la meritata rivalutazione. Dal 10 gennaio sulla piattaforma streaming, questo show al suo debutto su Bbc lo scorso ottobre è incentrato su un detective di Tokyo, Kenzo Mori, che viene spedito a Londra per rintracciare il fratello Yuto, sicario della Yakuza spacciatosi per morto e reo di aver ammazzato un gangster dando inizio a una faida sanguinosa tra gang. A Londra uno spaesato Kenzo si crea un piccola e bizzarra squadra destinata a diventare una disfunzionale seconda famiglia, formata dalla poliziotta scozzese Sarah, dal gigolo gay di origini nipponiche Rodney e dalla figlia di Mori, Taki.

La storia, suddivisa in otto episodi, rivela progressivamente attraverso una miriade di imprevedibili twist narrativi, la verità sugli eventi che portarono alla morte del mafioso di cui è accusato Yuto, le impensabili ragioni per cui anche il suo boss e mentore lo vuole morto, e i retroscena del complicato rapporto che lega Kenzo al fratello. La narrazione rimette a posto ogni tassello della trama riuscendo anche a dedicare il giusto spazio alle linee narrative dei personaggi secondari, in particolare Rodney e Taki; queste due figure di Giri/Haji meriterebbero una serie spinoff a parte per il carisma con cui i rispettivi interpreti – i giovanissimi Will Sharpe e Aoi Okuyama – riescono a incarnare il cinico ed esilarante rent boy e la timida e un po’ nerd teenager giapponese alla ricerca della propria identità sessuale e di un rapporto col padre.

Giri/Haji (Dovere /Vergogna) è una coproduzione internazionale di Bbc e Netflix (i produttori sono gli stessi di Chernobyl) che, piuttosto audacemente, ambienta questo noir thriller poliziesco a Londra per poi presentare un buon terzo dei dialoghi in lingua giapponese. La parte iniziale della serie segue gli sforzi di Kenzo per adattarsi alla cultura occidentale e alle bizzarre usanze britanniche. Nonostante qualche piccola assurdità – la disinvoltura con cui un poliziotto di mezza età giapponese interagisce in inglese con il suo primo contatto britannico, una donna dall’incomprensibile accento scozzese – gli episodi costituiscono un curioso e affascinante viaggio nei meandri della metropoli londinese (le location dello show sono ristrette a solo un paio di quartieri del centro, tra Soho, Fitzrovia e il West End) – visti attraverso lo sguardo alieno e alienato di un orientale.

Tutavia, Giri/Haji è un poliziesco che ancor più della trama e all’azione, predilige i personaggi. Dal riflessivo Kenzo – che si dibatte tra il senso del dovere professionale e quello familiare e i sentimenti personali verso il fratello -, a Yuto – sicario che non cerca la redenzione ma cui ogni decisione è dettata dall’amore – al drogato e autodistruttivo Rodney in cerca di redenzione dalle tragiche leggerezze di cui si è macchiato. Da menzionare, tra gli interpreti, il Yosuke Kubozuka lanciato a livello internazionale da Silence di Martin Scorsese, qui nei panni del fratello pecora nera della famiglia, Yuto, azzeccatissimo nel ruolo del gangster. Tutti i personaggi secondari, con menzione particolare ad Abbot (interpretato dall’ottimo Charlie Creed-Miles), mafioso londinese con la fissa per la cultura giapponese e il culto della perfezione asiatica (tanto da chiamare il proprio locale “Kodawari”) sono amabili, tanto amabili che per lo spettatore diventa primario l’interesse verso di loro e i rispettivi tormenti personali rispetto alla storia.

Ciò che colpisce di più della serie è, tuttavia, la regia. Virtuosa, dona alla storia una confezione dalle soluzioni stilistiche variegate, con episodi corredati di intermezzi animati, split screen, un’intera puntata costituita solo di flashback che fanno luce sulle ragioni dei personaggi principali – da Kenzo a Yuto passando per Sara e gli altri – una scenografia suggestiva immersa nella pioggia (ma solo nel pimo episodio ambientao a Tokyo e nell’ultimo, ambientato a Londra)  e un finale che interrompe il teso confronto finale per descrivere le emozioni dei personaggi attraverso un onirico balletto, tanto bello come non se ne vedeva nel Regno Unito dai tempi dell’epilogo di River. Il tutto corredato da una colonna sonora internazionale (giapponese, britannica, nordica) strepitosa – con una track, Heal di Tom Odell – ricorrente che descrive gli stati d’animo dei personaggi più dei dialoghi. Giri /Haji è la serie-sorpresa da vedere.

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