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mercoledì, Dic 18

Il numero di paper scientifici con più di mille autori è raddoppiato negli ultimi cinque anni


La fisica delle particelle, il Cern, hanno aperto la strada, ma ora il fenomeno dell’hyperauthorship si sta diffondendo a molte altre branche scientifiche. E c’è anche chi non la vede proprio bene

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(Credits: Cern)

Avere centinaia se non migliaia di autori per un singolo articolo scientifico potrebbe diventare normale nel prossimo futuro. A descrivere il fenomeno, che in inglese viene indicato come hyperauthorship, è un nuovo report dell’Institute for Scientific Information (Isi), che ha contato più di 1300 articoli con migliaia di co-autori negli ultimi 5 anni, più del doppio rispetto al 2013. Un segnale tutto sommato positivo, si legge nel rapporto, sintomo che la ricerca sta diventando sempre più globale. Ma c’è anche chi la vede diversamente.

Il numeri dell’hyperauthorship

Martin Szomszor e i suoi colleghi dell’Isi hanno analizzato gli articoli contenuti nel database Web of Science (Wos) constatando che negli ultimi 5 anni il numero dei paper con più di 1000 autori o che coinvolgono più di 100 Paesi è più che raddoppiato rispetto al lustro precedente. Se tra il 2009 e il 2013 erano 573, tra il 2014 e il 2018 se ne contano 1.315.

A stupire gli analisti dell’Isi non è solo l’impennata dell’hyperauthorship, ma anche il fatto che tali articoli di massa vengano pubblicati con maggiore frequenza. Tra il 2009 e il 2013, nel Wos era indicizzato un solo manoscritto redatto da ricercatori di oltre 60 Paesi, nei cinque anni successivi ce ne sono stati 49, e quasi due terzi di questi avevano autori provenienti da oltre 80 nazioni.

Dalla fisica delle particelle all’epidemiologia

Per molti parlare di hyperauthorship è sinonimo di Cern, il centro di ricerca sulla fisica delle particelle di Ginevra, in Svizzera. Ma – sottolinea Szomszor – non è più un’esclusiva e tante altre branche scientifiche si sono accodate, soprattutto quelle in cui sono richiesti dati globali – dall’epidemiologia allo studio del clima.

Globalizzazione della ricerca

Per Szomszor e diversi altri esponenti del mondo accademico l’hyperauthorship non è un fenomeno negativo, poiché riflette la natura sempre più globale della ricerca in diversi campi. Questa tendenza, inoltre, probabilmente aumenterà nel prossimo futuro. Basta pensare ai temi che dominano la cronaca: cambiamenti climatici, epidemie, cause delle migrazioni dei popoli non rispettano certo i confini nazionali.

Criticità

Se da una parte non si può che plaudire alla condivisione di informazioni e alla collaborazione tra scienziati che ampliano le frontiere della ricerca, da un altro punto di vista le critiche all’hyperauthorship non mancano. Improbabile, sostengono alcuni, che su migliaia di autori tutti abbiano contribuito in egual misura al progetto di ricerca, e tuttavia spesso in un elenco tanto corposo la distinzione dei ruoli si perde. Il timore è anche quello che l’hyperauthorship finisca col nascondere pratiche non del tutto oneste, come quella di inserire nell’elenco degli autori di un articolo membri del team che in realtà hanno contribuito poco o niente alla specifica ricerca, ma che nella logica del publish or perish (la regola non scritta per cui se uno scienziato non pubblica lavori difficilmente sopravviverà, lavorativamente parlando) ne traggono vantaggio per le loro carriere e per l’accesso ai finanziamenti.

Come venirne a capo? Trovare soluzioni alternative per la valutazione della ricerca è una sfida a cui il il la comunità scientifica, l’editoria accademica e le istituzioni non possono più sottrarsi.

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