Mary Shelley, figlia del femminismo e madre della fantascienza
Il Bechdel test, vale la pena ricordarlo, non è uno strumento scientifico, piuttosto un “promemoria” a favore della pluralità delle voci. Includere molte donne in una storia non è garanzia di femminismo, così averne meno non si traduce per forza in un risultato sessista. Anzi. Nel caso di Mary Shelley, però, il dibattito è particolarmente curioso: a due secoli dalla sua pubblicazione, cos’altro deve dimostrare Frankenstein?
La scrittrice – alla nascita Mary Godwin – era infatti la figlia del filosofo liberale William Godwin e dell’autrice femminista Mary Wollstonecraft, autrice della Rivendicazione dei diritti della donna. Anche se Mary non conobbe mai la madre, morta poco dopo il parto, crebbe in un ambiente intellettualmente vivace e all’avanguardia per l’epoca.
L’intuizione di Frankenstein arrivò per via di una scommessa con Percy Shelley e Lord Byron su chi avrebbe scritto la migliore storia di fantasmi per passare il tempo durante la piovosa estate nel 1816. Dei racconti scritti in quella villa, Frankenstein o il moderno Prometeo oggi è di gran lunga il più noto. Non solo Mary Shelley dimostrò che una donna poteva scrivere una storia dell’orrore, ma è opinione comune che con il Moderno Prometeo abbia anticipato il genere letterario della fantascienza. A soli diciotto anni. Pubblicato anonimamente, Frankenstein fu subito amato dal pubblico: il nome dell’autrice tuttavia fu rivelato solo nella seconda stesura, scioccando i critici.
Un mostro per ogni generazione
In un’epoca che relegava le donne ai margini della società, Mary Shelley riuscì ad affermarsi nell’Olimpo della letteratura riversando nella scrittura i suoi personali mostri: la perdita, la solitudine, l’ombra della morte che si allunga su tutte le cose, l’esperienza del rifiuto, del disprezzo e della violenza. Nel Frankenstein di Del Toro l’unico sguardo empatico è quello femminile: Elizabeth è un po’ madre e un po’ sposa per la Creatura, mentre Victor è il figlio non amato che a sua volta è incapace di essere padre di ciò che ha messo al mondo, perpetuando il trauma di generazione in generazione.




