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giovedì, Feb 02

Il Piccolo Principe ci ha stufato



Da Wired.it :

Il 1° febbraio ha fatto il suo debutto al Teatro Sistina di Roma una nuova versione teatrale de Il piccolo principe, destinata poi a girare in Italia e in Francia per parecchie date. Questo è solo l’ultimo adattamento del capolavoro di Antoine de Saint-Exupéry, lo scrittore e aviatore francese che l’ha scritto nel 1943, esattamente ottant’anni fa. Dopo una prima, disorientata accoglienza, questa novella è diventata un classico assoluto, con una stima di 140 milioni di copie vendute in tutto il mondo, traduzioni in oltre 500 lingue e una fortuna editoriale che rivaleggia probabilmente solo con la Bibbia e il Corano. Nei decenni non sono mancate la più svariate trasposizioni, dal cinema all’animazione, dal radio al balletto e al teatro appunto, passando per il più imponente dei merchandising.

Il mistero

Chiunque nel corso degli anni ha cercato di carpire il segreto di questo successo universale e trasversale, che parla in tutte le lingue del mondo e cattura la fantasia dei più piccoli così come il desiderio sognante dei lettori più adulti. Nonostante la sua essenzialità sia narrativa sia stilistica, questo libro rimane nonostante tutto un enigma, perché la sua stratificazione immaginifica è tutt’altro che semplice da decifrare e ognuno pesca al suo interno la morale e la suggestione che più sente affine. Il fatto che questo romanzo sia diventato poi il classico dei classici, un libro sulla bocca (e negli occhi) di tutti ma che in proporzione pochi hanno letto fino in fondo, ha creato un effetto ancora più sfuggente e paradossale: tutti conoscono frasi come “Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”, ma pochi sanno ripercorrere tutti gli snodi di una trama che si presta a non pochi dubbi interpretativi. La bacioperuginizzazione del Piccolo principe celebra la sua portata grandiosa ma ci allontana sempre di più da quello che è la sua conoscenza più autentica.

La storia è quella che si ricorda a grandi linee: un pilota si schianta nel deserto e, lottando contro la sete, incontra una strana figura dai capelli dorati che gli racconta di essere il principe di un lontano asteroide che, amareggiato per l’amore apparentemente non corrisposto di una Rosa vanesia, si lancia in esplorazioni spaziali fino a giungere sulla Terra, dove incontra prima una saggia volpe che gli svela il segreto dell'”addomesticamento” (ovvero dei rapporti umani, in generale) e poi un venefico serpente che gli promette di “tornare a casa”, in un ambiguo epilogo di liberazione non si sa bene fino a che punto metaforica. 

Spoiler: non è un libro per bambini

I personaggi altamente simbolici, l’immaginario sognante e anche le illustrazioni dello stesso de Saint-Exupéry hanno immediatamente fatto classificare quest’opera come un testo per bambini, che ancora oggi vi si affezionano meravigliati. Ma già questo riassunto, tra disastri aerei, fughe d’amore e ipotetizzata eutanasia, ci fanno capire che siamo di fronte a una trama ben più matura, a cui si aggiungono peraltro le interpretazioni critiche nei confronti del capitalismo, del consumismo, dell’autoritarismo e della perdita dell’innocenza (se vedete un cappello ricordate sempre che potrebbe essere invece un serpente elefantofago). Per di più negli anni si è capito con più precisione che questa è anche una storia di guerra: il suo autore l’ha scritto nel 1942 mentre era in esilio negli Stati Uniti, in fuga dalla Francia occupata dai nazisti, e proprio i baobab contro cui il Principe lotta strenuamente sul suo piccolo asteroide sono metafora dei totalitarismi infestanti, da eliminare alla radice appena spuntano dal suolo. Molte parti del romanzo sono anche un tentativo dello scrittore di superare lo spaesamento derivato dall’aver visto il suo paese crollare in un soffio di fronte all’occupazione tedesca. 

Effetto retorica

È indubbio che Il piccolo principe sia un testo dalla stoffa letteraria altissima, tant’è che il suo simbolismo e i suoi significati ancora sfuggono completamente per via della sua costruzione intricata e filosoficamente complessa. Il problema, forse, è che la sua ricezione così globale e mainstream l’ha trasformato in una favoletta carina ed edificante da sfoggiare alla bisogna nelle cene insidiose in cui ti chiedono, tra l’abbacchio e il tiramisù: “Qual è il tuo libro preferito?”. Nella percezione comune, in effetti, questa novella è diventata un passepartout socialmente accettabili che ammanta di intellettualismo quello che invece è un minimo sforzo di ostentazione sentimentale. Del labirinto di messaggi e immagini che Antoine de Saint-Exupéry sono rimaste le pillole più digeribili, in particolare la retorica di un necessario recupero dell’infantilismo: “Tutti gli adulti sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano”, è diventato il mantra semplicistico di chi vuole far finta che tutti i mali del mondo provengano dal fatto che gli adulti sono cattivi e insensibili e i bambini sono una meraviglia di ingegno e buon cuore (e dire che di persone che fanno figli e potrebbero immediatamente confutare questa teoria ce ne sono a miliardi, nel mondo).

Sebbene nel Piccolo principe alberghino di per sé consapevolezze ambigue, sfumate e addirittura disturbanti, il suo successo planetario l’ha trasformato in una supernova di facile entusiasmo, potente grimaldello in mano a coloro che vogliono far credere che la letteratura sia qualcosa di necessariamente consolatorio, esemplare, moraleggiante. Questa è un’illusione più forte delle allucinazioni di cui il pilota soffre nel deserto, e di cui aveva sofferto anche Antoine de Saint-Exupéry quando nel 1935 era precipitato nel Sahara traendo ispirazione per le sue opere. In proposito, il clamore soverchiate del Petit Prince ha oscurato a torto qualsiasi altro libro di questo autore invece già prima mirabilissimo: il suo Terra degli uomini, in cui  tra le altre cose racconta appunto dell’incidente aereo, dei miraggi e di come fu miracolosamente salvato da un beduino, è una miniera di potenti riflessioni sul volo, sulle aspirazioni, sugli incontri e sull’umanità che dovrebbe essere sempre l’immediato contraltare nella lettura del più famoso capolavoro. 

Nessuno potrebbe mai sognarsi di negare che Il piccolo principe è il portento letterario che tutti apprezzano. Ma proprio perché “I grandi amano le cifre”, non ci si deve soffermare al fatto che si tratti del libro più letto al mondo (dopo la Bibbia e il Corano, appunto, e a questo punto verrebbero da fare dei parallelismi sul dogmatismo) ma che sia necessario leggerlo veramente, addentrarsi nelle sue spine oltre che nei suoi petali, guardare non le stelle che ridono ma le distese umane sconfinate che apparentemente non dicono nulla e che poi dicono tutto. Insomma, bisognerebbe perderci del tempo sul serio, per citare un altro concetto caro a Antoine de Saint-Exupéry, che era un tipo molto più saggio, avventuroso e irrequieto di qualsiasi meditabonda volpe.



[Fonte Wired.it]