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mercoledì, Ago 21

Il re leone, se il troppo realismo nuoce alla poesia


La computer grafica trasforma il cartone animato in un film realistico, quasi un documentario. Eliminando però tutta la freschezza e l’ironia dell’opera originale. Al cinema dal 21 agosto

Un film come la nuova versione di Il re leone non era mai stato realizzato prima. Mai prima d’ora infatti un cartone animato aveva voluto apparire così realistico (riuscendoci) dall’inizio alla fine. Mai prima d’ora l’ispirazione più forte per la sua messa in scena erano stati i documentari del National Geographic. Mai prima d’ora un film era stato girato in realtà virtuale (si creano gli ambienti e li si esplora con il visore per decidere i punti di inquadratura e i movimenti di camera). Il risultato è che se la storia è esattamente quella del film Disney originale, quasi scena per scena con rarissimi cambiamenti e pochissime aggiunte, la maniera in cui viene rappresentata la savana ha uno sguardo puramente documentaristico. Jon Favreau (già regista di Iron Man e Il libro della giungla) ha voluto cercare di immaginare di essere parte di una troupe che filma la vera storia di veri leoni (parlanti). I personaggi non sembrano disegnati, i luoghi non sembrano creati al computer ma soprattutto le inquadrature, i totali e le transizioni molto spesso non sembrano cinema di finzione ma cinema documentario.

Ci sarebbe da farsi molte domande su quanto tutto questo abbia un senso visto il target del film (lo stesso dell’originale), quanto cioè il fatto che sembri tutto realistico invece che colorato, animato, pupazzoso e via dicendo possa attirare il pubblico di riferimento. Problemi superflui visto che la Disney non avrà alcun problema di incasso e che pure se ne avesse di certo non si tratterebbe di una tragedia. Più interessante è semmai notare che nonostante l’aderenza quasi maniacale all’originale, alle sue battute e anche alle inquadrature e ai dettagli, questo nuovo Il re leone dura mezz’ora di più, mezz’ora sparsa lungo tutta la storia, un allungamento dei tempi che non aiuta il ritmo né migliora la freschezza ed è solo il primo di molti problemi.

Simba andrà incontro al medesimo percorso, che poi è quello di Amleto, passerà dall’essere un cucciolo scapestrato traumatizzato dalla morte del padre (ad opera dello zio assetato di potere, ma lui non lo sa e crede di essere il responsabile) a diventare un adolescente in fuga problematico e pieno di complessi, fino a raggiungere in una notte tempestosa la maturità che gli consente di superare il trauma familiare e conquistare il proprio posto nel mondo. Attorno a lui gli aiutanti comici tipici della Disney (Pumbaa e Timon, molto ben doppiati in italiano da Edoardo Leo e Stefano Fresi) oltre alle leonesse della tribù il cui ruolo è allargato e aumentato in importanza in maniera pretestuosa. La nuova trama infatti non le mette davvero al centro, né gli conferisce una posizione più rilevante quanto a minutaggio o battute, le lascia totalmente subalterne ma finge di ammantarle di potere.

Di tutti i recenti remake Disney Il re leone sembra insomma davvero il meno interessante. Nonostante un’audacia e un investimento da capogiro che spingono in avanti la consapevolezza di quello che si può fare al cinema, narrativamente il film è piantato, immobile, incerto. Tutta la bravura di Jon Favreau nel raccontare una storia con ritmo e fluidità è qui disinnescata. Dell’equilibrio scoppiettante tra musica, passo svelto, scoperte, crisi e umorismo che avevano reso l’originale la punta più alta (cioè l’incasso più alto) del Rinascimento Disney anni ‘90, un classico senza tempo all’altezza dei capolavori delle decadi precedenti, non c’è più traccia.

La computer grafica riesce perfettamente nell’impresa della verosimiglianza e fallisce clamorosamente sul versante dell’espressività. La musica suona sempre fuori posto (solo Hakuna Matata ha un trattamento decente, in uno dei pochi momenti in cui il film si distanzia dal proprio modello) e quel che una volta era interessante perché teatrale e stilizzato qui è normalizzato e acquietato. Il re leone del 2019 è in tutto e per tutto una versione annacquata dell’originale: uguale ma meno efficace, identico ma più lungo, ricalcato fedelmente ma misteriosamente meno avvincente. Sembra che nel tentativo di riparare a quelli che oggi sono percepiti come torti del primo film (ad esempio questa volta i doppiatori sono afroamericani in un tentativo di casting etnicamente corretto, per quanto la cosa possa avere un senso nel caso di doppiatori), la Disney abbia tappato qualsiasi spunto polemico ma anche dimenticato di dare un po’ di vita ad un film che parla del cerchio della vita.

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