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Il rettore Verona all’apertura dell’anno accademico della Bocconi: “Il mondo di oggi è complesso. Tentare di semplificarlo è un errore”

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25/11/2019
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Inaugurando l’anno accademico, il rettore della Bocconi Gianmario Verona parla di come è complesso il mondo descritto dalla scienza. E di come i tentativi di semplificarlo stiano mostrando i propri limiti

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(foto: Getty Images)

“Educare al pensiero critico ci permette di affrontare la complessità”. La complessità riguarda l’immagine del mondo che ci restituisce la scienza, rispetto alla quale la tentazione di reagire semplificando sta mostrando tutti i suoi limiti. Per affrontare la contemporaneità, il messaggio lanciato dal rettore dell’Università Bocconi Gianmario Verona durante l’inaugurazione dell’anno accademico, servono una formazione interdisciplinare e l’apertura alla complessità.

Nella sua relazione ha definito il 2019 come l’anno del ritorno alla complessità. Che cosa intende?

“Il mondo in generale, la scienza in particolare, stanno evolvendo verso traiettorie che restituiscono un’immagine sempre più complessa, ovvero più ricca dal punto di vista delle variabili che lo caratterizzano. Negli ultimi anni abbiamo visto un tentativo di banalizzare questa complessità. Invece di viverla, abbiamo cercato di semplificare il nostro modo di pensare. Nel 2019, però, sono avvenuti alcuni episodi che ci hanno fatto capire che non è possibile banalizzare”.

A cosa si riferisce?

“Penso alla Brexit. Gli inglesi hanno votato un referendum netto, che avrebbe dovuto cambiare lo status quo con un voto popolare. In realtà non sono riusciti a portare a termine il percorso di uscita dall’Unione europea perché operativamente è un processo molto complicato. Anche l’idea che chiunque possa governare, senza rendersi conto della complessità di questa attività, sta venendo meno”.

E dove sta il vantaggio nell’abbracciare questa complessità?

“La chiave di lettura è che ci stiamo rendendo conto che le cose vanno affrontate con competenza, conoscenza e con un approccio scientifico. Che la complessità esista è un dato di fatto e ci stiamo rendendo conto che semplificare il mondo rappresentava una prospettiva non corretta”.

È possibile, però, che questo tentativo di semplificazione sia stato dettato in prima battuta dalla paura..

“La paura è una reazione naturale, che si combatte informandosi e attingendo a quelle competenze necessarie per affrontare i problemi. Il tema di fondo è che le scorciatoie non esistono, le questioni vanno affrontate adeguatamente, altrimenti è solo retorica. Pensiamo a cosa sta avvenendo nel digitale: possiamo dire che tra Usa e Cina è in corso una guerra fredda dalla quale siamo tagliati fuori, oppure possiamo rimboccarci le maniche, studiare la tecnologia in modo adeguato, lavorare sulla formazione e affrontare questa complessità”.

Appunto la Bocconi lancia un corso di laurea dedicato all’intelligenza artificiale. Da cosa nasce?

“Questo corso nasce dal cambiamento paradigmatico che stanno vivendo le discipline che ci competono, che hanno a che fare in generale con le scienze sociali. I big data stanno aumentando la nostra capacità di prendere decisioni adeguate attraverso algoritmi e tecnologie che dobbiamo dominare da un punto di vista cognitivo. Per questo occorre acquisire una competenza quantitativa, matematica e logica. Anche in questo caso: la semplificazione ci porterebbe a dire che questo non è il nostro mestiere, ma in realtà dobbiamo essere in grado di interloquire con le macchine. E per fare questo occorrono competenze tecnologiche”.

Da questo punto di vista, che tipo di profili richiede il mercato del lavoro?

“Il mercato del lavoro ha molta fame di profili quantitativi, ma è ancora confuso, assume chiunque abbia un minimo di basi. La sfida che stiamo cercando di mettere in campo è quella di un percorso di studi che permetta di ottenere una conoscenza integrata. Stiamo lanciando un percorso di laurea triennale che lavora in modo robusto sulla programmazione e la matematica, con una parte di informatica che parla alla scienza dei dati e una di fisica teorica, che è fondamentale per acquisire la forma mentale che sta alla base degli algoritmi. Terminato il triennio, sarà possibile scegliere una specialistica o un master di natura più applicativa, più legata agli interessi personali”.

Presentando il corso, ha affermato che l’Ai non deve farci perdere di vista l’etica delle decisioni e l’etica del lavoro. Qual è il rischio che vede all’orizzonte e come si combatte?

“Oggi la narrazione più comune è quella secondo la qualel’intelligenza artificiale sostituirà i lavoratori. Etica del lavoro significa far sì che l’Ai sostituisca le persone nei lavori routinari così che possano concentrarsi su quelli a valore aggiunto. Della distruzione del lavoro si parla ad ogni innovazione tecnologica, dalla macchina a vapore in avanti: in realtà la scienza dimostra che se è vero che c’è uno shock a breve termine, nel medio e nel lungo periodo la produttività aumenta”.

Quindi lei è ottimista…

“Attenzione: bisogna investire ed innovare. E poi c’è il tema della formazione, che è assolutamente trascurato, in Italia ma anche a livello internazionale. Con l’aggravante che, rispetto ad altri Paesi, noi abbiamo un gap da colmare e quindi servirebbe maggiore attenzione”.

Cambiando discorso, lei ha affermato che il tasso di sopravvivenza a 5 anni delle startup italiane è al 90%. E che questo è un elemento negativo. Perché?

“Perché dopo i primi mesi di vita, una startup deve diventare scaleup, deve cioè acquisire quella dimensione ottima minima che, in prospettiva, permetta di diventare un unicorno. La sopravvivenza, di per sé, male non fa, ma se vogliamo stimolare l’imprenditorialità bisogna dire che è importante anche fallire, imparare dagli errori per arrivare al take off di un progetto che piace al mercato. L’alternativa è un mercato di startup nane con un valore solo locale. Per questo abbiamo deciso di lanciare un acceleratore”.

Dove, coerentemente con questa visione, le startup non possono rimanere per più di 4 mesi..

“Esattamente. Altrimenti si finisce per fare real estate management. Inoltre a Bocconi for Innovation, così si chiama l’acceleratore, non giochiamo da soli. In un’ottica di open innovation, abbiamo avviato una serie di partnership, a cominciare da quelle con l’Istituto italiano di tecnologia, il Politecnico e l’Università degli studi di Milano“.

E perché avete deciso che l’acceleratore si concentrerà su digital tech, made in Italy e sostenibilità?

“Perché oltre a dare quattrini [fino a 30mila euro, ndr] e location, offriremo una formazione. Per questo abbiamo deciso di lavorare su dei temi rispetto ai quali ci sentiamo forti storicamente”.

Sempre a proposito di sostenibilità, nel suo discorso ha parlato spesso di cambiamenti climatici. Perché?

“Perché il climate change è un dato di fatto, è uno degli elementi della complessità del mondo di oggi. Anche qui, possiamo semplificare e affermare che sono tutte bufale oppure prendere i dati che ci dicono che il mese di luglio del 2019 è stato il più caldo della storia. Il clima è un tema del quale dobbiamo occuparci, rientra in quel macromondo che le scienze sociali passano sotto il nome di sostenibilità. E riguarda anche le aziende”.

Nella sua relazione lei ha parlato dell’importanza del pensiero critico in un’epoca dominata dai big data. Perché è così fondamentale?

“Perché i big data richiedono capacità di sintesi, una sintesi che non possiamo delegare alla macchina o all’algoritmo. Altrimenti metto a rischio la qualità delle decisioni assunte sulla base di queste informazioni. Educare al pensiero critico ci permette di affrontare la complessità”.

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