Seleziona una pagina
martedì, Nov 12

Ilva, il premier Conte in cerca di idee per il futuro di Taranto


L’avvocato pugliese sprigiona molta buona volontà ma non ha piani percorribili se non quello del fortissimo impegno pubblico, ai limiti della nazionalizzazione. E il governo è obbligato ad aspettare le mosse di ArcelorMittal

Giuseppe Conte venerdì 8 novembre all’ex Ilva (Foto: Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse)

Giuseppe Conte vuole aprire il “cantiere Taranto”. Una lettera rivolta a tutti i ministri, in vista del prossimo vertice del governo di giovedì prossimo, dimostra la sconvolgente assenza di strategie e di soluzioni per la più grave crisi industriale della storia recente che poi tanto crisi non è, visto che gran parte delle problematiche era tristemente nota da tempo e nulla è stato fatto per diminuire l’impatto sull’ambiente e sulla salute di quel mostro di polveri e morte che è l’ex Ilva.

Il presidente del Consiglio è alla ricerca di un “piano strategico che offra ristoro alla comunità ferita e che, per il rilancio del territorio, ponga in essere tutti gli strumenti utili per attrarre investimenti, favorire l’occupazione e avviare la riconversione ambientale”, come si legge nella breve nota. L’incontro di venerdì scorso, quando l’avvocato di Volturara Appula ci ha messo la faccia scontrandosi con decine di cittadini e confrontandosi duecento operai – dimostrandosi in questo enormemente più dignitoso di molti suoi predecessori e attuali colleghi di esecutivo – ha lasciato il segno. Quando a una storia del genere dai un volto, anzi tanti volti, molti, troppi dei quali non ci sono più, le cose cambiano.

I punti appaiono chiari. Se un’azienda che è subentrata in affitto neanche 12 mesi prima indica in prima battuta l’eliminazione dello “scudo penale” come ragione dell’improvviso disimpegno e poi prefigura, fra le condizioni per rimanere, 5mila tagli al personale, non sta giocando pulito. Specie se poi precipita nel silenzio, come sta facendo l’anglo-indiana ArcelorMittal in questi giorni. Questo è evidente. Sull’immunità penale per i manager di Arcelor o di chi gestirà le acciaierie più grandi d’Europa rispetto all’attuazione del piano ambientale previsto dai contratti l’esecutivo si è detto disponibile a tornare sul punto, nonostante l’opposizione di un fondamentale drappello di deputati e senatori 5 stelle che rischiano di far saltare la maggioranza. Ma è evidente che si tratta ormai di poco meno che un diversivo, uno specchio per le allodole parlamentari.

Il solo andamento del mercato siderurgico internazionale, le cui strategie si impostano su prospettive medio-lunghe, anche di 25 o 50 anni, non può spiegare del tutto le ragioni tattiche di ArcelorMittal. Se un anno fa prendeva in affitto l’impianto, impegnandosi ad acquistarlo nel 2020 per 1,8 miliardi e a condurre un profondo risanamento ambientale da 1,1 miliardi, deve oggi spiegare – e lo farà di fronte ai giudici di Milano – le ragioni di un simile dietrofront. Forse appropriarsi di un impianto concorrente con l’obiettivo di ridimensionarlo e, chissà, magari accompagnarlo a un futuro di sola gestione delle materie prime e laminazione, con lo spegnimento della fondamentale area a caldo?

Considerato che lo “scudo” è un tema almeno in apparenza risolvibile in Parlamento, quali sono esattamente gli altri parametri che hanno condotto a un ribaltamento così rapido? Lo chiede, giustamente, anche la politica, per esempio col deputato 5 stelle Nunzio Angiola: “La società ci deve spiegare con precisione quali sono le variabili che hanno determinato il rilevante scostamento tra i volumi previsti e realizzati (praticamente il 50% in meno). Vogliamo le stime analitiche degli impatti delle variabili macroeconomiche e aziendali (Brexit, dazi eccetera). Vogliamo informazioni sulla politica dei prezzi e sulla scontistica” ha detto. Aggiungendo le richieste sul portafoglio clienti delle società e su eventuali trasferimenti ad altre società del gruppo. Speriamo lo domandino con forza anche i magistrati.

Al netto delle mosse di un colosso che pretende di decidere regole e condizioni, tempi e voltafaccia, le ipotesi sul tavolo sono al momento tre. L’addio di ArcelorMittal e una lunga causa giudiziaria col governo con conseguente nomina di nuovi commissari e ricerca di altri acquirenti, magari con l’intervento di Cassa Depositi e Prestiti o di Fincantieri. Secondo percorso: chiusura della sola area a caldo, 5mila esuberi magari ridotti a 2.500, fine dalla siderurgia a ciclo integrato nel paese, contraccolpi incalcolabili per l’economia e avvio di un piano di riconversione, quel “cantiere Taranto” di cui parla Conte. Terza soluzione, la via di mezzo della vita di mezzo: riduzione dell’area a caldo, un po’ meno esuberi, ammortizzatori sociali e ovvia reintroduzione di scudo penale.

In tutti questi casi il governo dovrà lavorare al ricasco delle decisioni di ArcelorMittal, guidata da uno degli uomini più ricchi del mondo, l’indiano Lakshmi Mittal residente in una costosissima villa di Kensington, a Londra. L’esecutivo, già debolissimo e dilaniato da battaglie quotidiane, non potrà che agire di sponda, adeguandosi passo dopo passo alle mosse di un gigante da 80 miliardi di euro l’anno di fatturato, immancabile sede in Lussemburgo e impianti in 60 paesi.

Conte sprigiona molta buona volontà, perfino un’onesta partecipazione ed empatia, ma non ha piani percorribili, almeno non al momento, se non quello del fortissimo impegno pubblico, ai limiti della nazionalizzazione. Lo stallo è tale che addirittura manda a dire ai ministri di presentarsi con i compiti svolti al prossimo consiglio, come se una faccenda del genere potesse risolverla un qualche temporaneo inquilino ministeriale. Di chi sono le responsabilità di questa situazione? Di ArcelorMittal, di chi negli anni non ha fatto quel che doveva su impianti e stabilimenti dell’ex Italsider, integrando soluzioni per l’ambiente e la salute, di un esecutivo che gioca con le regole senza riuscire a parlare una voce sola e fornendo pretesti per misteriosi disimpegni? Forse di tutti insieme e certo non sarà l’avvocato del popolo, e neanche la sya “causa del secolo” (pure sacrosanta) a sciogliere un nodo sempre più vicino a essere tagliato.

Potrebbe interessarti anche





Source link