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domenica, Apr 30

in alcuni casi, funziona meglio degli antibiotici | Wired Italia



Da Wired.it :

Si chiama trapianto fecale, ma più propriamente dovremmo parlarne come trapianto di microbiota intestinale (Fecal microbiota transplantation, FMT) ed è un trapianto decisamente sui generis, anche perché è difficile definirlo. Anche se considerato un tessuto, nel caso di trapianto fecale vengono trapiantati miliardi di microrganismi da donatore a ricevente. Possono assumere forme diverse, anche quelle di una pillola non così dissimile da quella di un antibiotico. Può suonare ancora strano forse, tanto che diventare un donatore di feci fa notizia. Solo poche settimane fa, infatti, il Guardian ospitava il racconto – con dovizia di particolari – di come si diventa un donatore di feci. Eppure, per gli addetti ai lavori, il trapianto fecale è sì materia ancora di sperimentazioni, ma in altri è diventato ormai una prassi avvalorata da evidenze scientifiche. L’ultima, in ordine temporale, è l’avvallo che arriva dalla Cochrane – un’associazione internazionale che si occupa di passare in rassegna le evidenze relative a procedure mediche – che conferma: il trapianto fecale è efficace contro le infezioni da Clostridiodies difficile, e funziona meglio degli antibiotici nei casi di infezioni ricorrenti.

Le infezioni di C.difficile

Il batterio in questione, produttore di tossine, è noto soprattutto per essere causa di casi gravi di diarrea, ma può causare anche megacolon tossico, colite pseumdomembranosa, sepsi e morte. Clostridiodies difficile (anche noto come Clostridium difficile) occupa un posto a sé nel panorama delle infezioni ospedaliere. Dati epidemiologici aggiornati non sono disponibili – un progetto di sorveglianza per l’Italia è stato lanciato da poco – ma gli ultimi rilasciati per l’Europa parlano di quasi 8000 decessi collegati all’infezione. A preoccupare però oltre i numeri – in crescita – è soprattutto un dato: negli ultimi anni le infezioni da C.difficile sono diventate più gravi, per colpa di ceppi più aggressivi e resistenti agli antibiotici, dicono sia l’Istituto superiore di sanità che gli esperti di infezioni sanitarie della Simpios. Capire come gestire queste infezioni, tanto sul fronte della prevenzione che su quello della terapia, è uno dei temi principali per chi si occupa di infezioni ospedaliere.

L’altro aspetto problematico è la ricorrenza di queste infezioni, una condizione che interessa circa un terzo di tutti coloro che ne incorrono in una. Spesso pazienti ospedalieri, spesso più anziani, ma non solo: la Società Italiana Multidisciplinare per la Prevenzione delle Infezioni nelle Organizzazioni Sanitarie (Simpios) ricorda che anche l’epidemiologia delle infezioni è cambiata, interessando anche giovani e anche a livello di comunità negli ultimi anni, senza fattori di rischio, ospedalizzazione e utilizzo di antibiotici. L’uso di antibiotici, soprattutto se prolungato, infatti, rimane tra i principali fattori di rischio per l’infezione – specie dannose, come il C. difficile appunto, proliferano in caso di disbiosi, ovvero in presenza di una flora intestinale alterata – insieme ad alcune terapie e procedure mediche invasive o trapianti, malattia renale cronica o immunosoppressione. Gli antibiotici, però, sono anche la cura delle infezioni del batterio, cura che però in un terzo dei casi circa fallisce, l’infezione torna e diventa sempre più difficile debellarla con gli antibiotici.

Una strada alternativa

Il trapianto fecale è l’opzione terapeutica che arriva in questa fase, dopo il fallimento delle terapie antibiotiche, come raccomandato dalle principali società scientifiche in materia: farmaci vivi per rimettere in sesto il microbiota malato. Semplificando, funziona così: un donatore sano, sottoposto a tutti i controlli sanitari del caso, dona le proprie feci (e tutti i microrganismi contenuti), che vengono poi lavorate e preparate per poter essere trapiantate nel ricevente. I controlli mirano ad assicurare l’assenza di patogeni ma anche di batteri resistenti: proprio la presenza di batteri resistenti nelle feci poi utilizzate per trapianti aveva causato nel 2019 uno stop alla pratica oltreoceano (il primo prodotto per trapianti fecali è stato approvato solo alla fine dello scorso anno). A volte, come raccontavamo in passato, il prodotto finale è una sacca simile a quella del plasma, che può essere congelata e usata all’occorrenza. A volte invece, può assumere anche la forma di una capsula contenente all’interno il materiale lavorato e liofilizzato. A seconda della forma, il trapianto fecale può quindi avvenire per via orale – ingerendo la pillola – tramite clistere, colonscopia o con sondini che arrivano direttamente allo stomaco o all’intestino. E funziona.

Le raccomandazioni delle società scientifiche, così come gli studi in materia e il parere degli esperti erano già concordi nel ritenere il trapianto fecale una terapia valida contro le infezioni resistenti di C.difficile. La revisione delle Cochrane oggi aggiunge un tassello in più in ottica di medicina basata sulle evidenze. Mettendo insieme studi condotti in diverse parti del mondo (Italia inclusa), gli esperti affermano che sì, il trapianto è probabilmente molto più efficace degli antibiotici contro le infezioni di C.difficile ricorrenti.

Banche di feci ad uso personale

Se nel caso di queste infezioni le evidenze in materia sono convincenti, meno lo sono ancora per gli altri ambiti in cui il trapianto fecale viene studiato. È il caso – e anche qui a mettere un punto oggi è sempre la Cochrane – di colite ulcerosa e Crohn: non i sono ancora evidenze che trapianti di microbiota fecale siano davvero efficaci. Eppure, dando prova di un certo ottimismo riguardo i risultati che la ricerca nel campo porterà, c’è chi invita a pensare a delle banche di feci autologhe da utilizzare per trapianti personali al bisogno. In particolare l’idea, come presentata da alcuni esperti della Harvard Medical School and Brigham and Women’s Hospital sulle pagine di Trends in Molecular Medicine, è di congelare le proprie feci per poterne usufruire una volta grandi e alle prese con malattie diverse per cui un ringiovanimento intestinale possa giovare. Ottimista di certo, ma anche molto prematura ancora, in assenza di evidenze in materia, tutt’altro che scontate, soprattutto per l’uso autologo.



[Fonte Wired.it]