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sabato, Apr 11

In quarantena con Flannery O’Connor



Da Wired.it :

In un momento difficile, le vie impervie della salvezza raccontate in modo comico e grottesco dalla grande scrittrice americana ci raccontano non solo il suo paese, ma anche il nostro bisogno di umanità, ora più che mai

In questi giorni pasquali di sole che cresce e quarantena che non finisce, dove il bisogno di contatto (rispettando le regole del distanziamento sociale) e in alcuni l’esigenza di meditazioni più profonde fatte in solitudine vengono impedite spesso da una realtà oramai paradossale perché non riprendersi i romanzi, i racconti, i saggi – e, perché no, le preghiere ferventi – di Flannery O’Connor, che si sia credenti o meno? 

La O’Connor, uno dei miti più originali della letteratura americana, ebbe una vita alquanto breve, morendo a soli 39 anni per le conseguenze di un lupus ereditario. Eppure la sua fama l’ha consacrata nel pantheon della letteratura del Novecento. A contatto con i maggiori scrittori e poeti dell’epoca, descrisse in modo grottesco e allucinato, con una buona dose di ironia, i personaggi spesso in balia di crisi religiose e conversioni degli Stati rurali del Sud –lei è nata in Georgia – e usando non solo il realismo comico più acuto ma l’influenza sorprendente della tomistica e della religione cattolica in un contesto radicalmente protestante.

Abile ironista quanto teologa, nella O’Connor ci sono sì la violenza, il vizio, l’eresia dei suoi personaggi, ma c’è anche la ricerca di uno stato di grazia illuminato e della salvazione. Mai fuori dal tempo, ma anzi capace di affrontare le divisioni – anche razziali – della sua America

Una commistione delirante di fede e peccato è ciò che si trova nel primo romanzo della O’Connor, La saggezza nel sangue, ultima edizione nel 2010 da Garzanti. Se vi ha colpito l’America weird della serie tv Tiger King, i personaggi di questo romanzo sono ancora migliori: rappresentano in modo non bozzettistico la provincia più polverosa e più allucinata di veri e propri flagellanti on the road. Profeti imbroglioni di una “Chiesa della Verità senza Gesù Cristo Crocifisso”, sbandati in preda a infatuazioni e assassini inconsulti, prostitute plagiate, predicatori fondamentalisti sui generis e artisti imbroglioni cercano segni dal cielo nei bar malfamati, per le strade lerce e nei treni del Sud credendo in una saggezza del sangue che si rivela follia, convincendosi di segni divini o compiendo atti innaturali per dare senso alla loro vita deragliata. In primis quella del veterano della Seconda guerra mondiale Hazel Motes, del cui vagabondaggio assurdo da cristiano inconsapevole si racconta nel romanzo. “Il nichilismo lo riporta alla realtà della sua Redenzione, che è quanto avrebbe voluto rifuggire a ogni costo”, ha scritto l’autrice su di lui. Hazel, come molti dei personaggi della O’Connor, pare fuggire dal divino nella direzione sbagliata, forse incarnandolo cristianamente nelle proprie traversie. 

Il secondo romanzo della O’Connor è immerso in simili atmosfere abbaglianti e perseguitate da dio, benché i personaggi siano meno e la logica solo all’apparenza meno caotica. Il cielo è dei violenti – che l’editore minimum fax riporterà in libreria a fine agosto dopo la ripubblicazione Einaudi – parte dalla storia del falso profeta Mason Tarwater e dal modo, attraverso vari flashback, con cui ha fatto il lavaggio del cervello a suo nipote Francis Marion. Però Tarwater è morto (lo sappiamo fino dall’inizio del libro, in realtà), il nipote sta infatti seppellendo il nonno già dalle prime pagine. Non riuscendovi, decide… di bruciare tutto! Il nuovo capitolo della sua vita, abbandonata la campagna e la tenuta polverosa di Powderhead – l’onomastica di O’Connor è sempre potentissima – sarà lo zio Rayber che va a visitare in città. Lo zio, maestro, rappresenta l’America liberal e razionale e fa di tutto per togliere dalla mente del giovane Tarwater le idee malsane del nonno, ma invano, fino a che il suo stesso figlio Bishop ne subisce le tragiche conseguenze.

Se il primo romanzo rappresentava una masnada di disperati in cerca di un dio, il secondo romanzo ha come detto la logica ferrea tipica del predicatore, quasi severa: rappresenta così il vero e proprio scontro tra le due facce dell’America sovente rappresentate dalla O’Connor: quella disperata, rugginosa e mostruosamente rurale, abbandonata da tutto, ma in cerca quasi genuinamente in molteplici cose in cui credere, e quella burocratizzata, apparentemente illuminata dalla ragione delle grandi città. L’America dell’era Trump in preda all’epidemia del coronavirus vi pare in fondo così diversa da questa?

L’altra pietra incandescente della produzione dalla O’Connor solo sicuramente i racconti. Bompiani qualche hanno fa ha riportato in libreria il suo Tutti i racconti già in precedenza pubblicato. Vi ritroviamo, in racconti che vanno dagli anni Quaranta agli anni Sessanta, tutta la varietà complessa della scrittrice. Anche qui personaggi minori dell’America rurale compressi da realtà orrorifiche che li spingono a incontri soprannaturali (o a convincersi di ciò) che per paradossi portano spesso ad una loro Redenzione in un mondo dominato dal Male. Sono racconti sui quali pesa spesso l’influenza del filosofo e teologo Teilhard de Chardin, che inquadrano i protagonisti, in preda a rivelazioni costanti in un contesto spesso animato da forti differenze razziali e sociali, nella distanza tra la campagna della cosiddetta Bible Belt e la metropoli, inseriti in un finalismo più grande per quanto non pacificato. Ed è qui che l’ortodossia cattolica della liberale O’Connor si fa sentire: nella speranza che i suoi diseredati e disperati abbiano un’illuminazione in vita, spesso nel contrasto sempre presente tra America ignorante da salvare e l’America istruita e benpensante sorda e incapace in fondo di parlare davvero al cuore degli ultimi e agli afflitti.

Succede nel racconto “Punto omega”, succede nei suoi primi racconti più ritrattisti come “Il geranio”, o ne “Il negro artificiale”, nei contesti familiari in primis, fonte a tratti di salvezza a tratti di perversione e strani convincimenti ulteriori – in cui l’infanzia però con la propria innocenza redime spesso nonni e adulti perversi, come nel racconto “La veduta del bosco” o ne “Gli storpi entreranno per primi”. Tutti brani in cui i personaggi (e i lettori con loro) sentono sulla loro pelle come un brivido meraviglioso benché poco confortante “la mano della pietà”… 

In tempi di corsi di scrittura a distanza e in cui molti autori si interrogano sul loro ruolo (spesso esageratamente mediatico), un momento di riflessione misto potrebbe partire dalle note sulla scrittura e le lettere sulla creatività raccolte nel volume Un ragionevole uso dell’irragionevole. Saggi sulla scrittura e lettere sulla creatività, uscito per minimum fax. Raccogliendo due precedenti pubblicazioni, sono pieni di consigli a scrittori abili così come a principianti, in cui l’autrice non ha paura a mescolare la tecnica dello scrivere a quella cattolica potremmo dire “dell’esistere”. Dove la grazia dello stile e la grazia spirituale si confondono: “in un racconto tutto quello che puoi fare con la grazia è mostrare che cambia un personaggio”. Oppure ancora la sua auto-esegesi più completa: “L’argomento della mia narrativa è l’azione della grazia in un territorio occupato in gran parte dal diavolo”.

Questo è un volume che contiene il celeberrimo saggio Il re degli uccelli”, dove la scrittrice racconta della propria incredibile passione per gli uccelli, che la portò ad allevare ad Andalusia, centinaia di pavoni. Sembra di trovarsi di fronte a dei polli ridicoli, ci dice la scrittrice, quando i pavoni hanno la loro coda chiusa. “Con la coda bella spiegata, invece, il pavone può ispirare una vasta gamma di emozioni, ma una risata devo ancora sentirla”. Goffi e pieni di grazia ad un tempo, il saggio si chiude con la descrizione dei pavoni sognatori che tanto ricordano certi personaggi ottusi e outsider della scrittrice:  “Forse il pavone fa sogni violenti…  Chi dorme sonni inquieti si chiederà se è sveglio o sogna”.

Come sta la spiritualità ai tempi di Zoom? Con chi ci confessiamo in un’epoca in cui anche i preti stanno su Skype a dire messa? E Dio dove si collega online? La O’Connor stessa dimostra la propria incerta fragilità di scrittrice e di donna cattolica nel suo Diario di preghiera, Bompiani, un journal giovanile scritto ai tempi dell’università, dove si trovano passaggi in cui lei si rimette a Dio per diventare non solo una donna non frivola, ma anche una scrittrice (“Caro Dio, Ti prego aiutami a essere un’artista. Ti prego lascia che questo conduca a Te…”). Come è stato notato, il diario funziona qui come confessione ma anche strumento di liberazione, la stessa liberazione che lei trovò nella liberale università dell’Iowa dove studiava, rispetto all’America segregata e ottusa della Georgia. 

Per concludere e in parallelo al Diario, un dettaglio meno noto del talento multiforme di Flannery O’connor ci permette di concludere: fu un’abile illustratrice fin da bambina. Flannery O’Connor: The Cartoons raccoglie le sue opere, e speriamo di vederla presto in Italia. Sono fumetti e inquadrature che raccontano in forma satirica la vita studentesca, l’universo femminile, ma anche mostrano gli effetti della Seconda guerra mondiale sulla vita americana.

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[Fonte Wired.it]