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venerdì, Lug 12

Incidentalmente, questa stimata professionista su Linkedin non esiste


Katie Jones ha 30 anni e un cv di tutto rispetto. Peccato che sia fake: è solo uno dei tanti profili creati ad hoc dai servizi segreti di mezzo mondo per spiare i loro obiettivi

Katie Jones (foto: Ap)

Guardate l’immagine in alto. È la foto profilo di Linkedin di Katie Jones, una 30enne dai capelli rossi, una carriera di successo in un think tank americano e con un network che include tra gli altri un assistente al segretario di stato e un senatore in lizza per un posto alla Federal Reserve.

Adesso avvicinate gli occhi al monitor. Guardate meglio lo sfondo, piuttosto piatto; studiate le linee dei capelli, poco definite. Avvicinatevi a guardare la sua guancia sinistra, con quelle piccolissime striature verticali che si ripetono attorno all’orecchio sinistro.

Concentratevi su quel piccolo pallino bianco all’estremità dell’occhio destro, e infine sull’orecchino privo di profondità.

Sì, esatto: Katie Jones non esiste. Il suo curriculum è un risultato di fantasia, il suo volto il prodotto di un programma capace di generare volti a comando. È uno dei componenti di un vasto esercito di profili fantasma che sono tuttora presenti su Linkedin. A scoprire Katie Jones è stata l’Associated Press, grazie ai sospetti di Keir Giles, un analista specializzato in Russia che lavora per un think tank londinese. Di recente, Giles era stato la vittima di un operazione di spionaggio che aveva per target i critici – come lui – della società russa Kaspersky Lab, leader nel settore antivirus. Così, quando ha ricevuto la richiesta di aggiunta al network da parte di Katie, Keir si è insospettito: la donna sosteneva di aver lavorato per anni al Centro per gli studi internazionali e strategici di Washington, per di più concentrandosi sugli stessi temi di Giles. “Mi sono chiesto come mai non l’avessi mai sentita prima di allora”, ha spiegato l’analista.

Tutte le verifiche hanno confermato lo stesso dato: nessuno al mondo ha mai incontrato Katie Jones. Un portavoce del centro di Washington ha detto ad Ap che “nessuna donna con quel nome ha mai lavorato” lì. Tutte le scuole in cui  sosteneva di aver studiato hanno smentito di aver avuto alunne con quel nome. E poche ore dopo che l’agenzia ha contattato Linkedin, l’account stesso della Jone è stato cancellato.

Un caso isolato? Tutt’altro. Il social network del lavoro è diventato negli ultimi anni uno dei più appetibili da parte delle agenzie di spionaggio di mezzo mondo. “Il falso profilo di Katie Jones ha tutti gli ingredienti di un’operazione di stato”, ha spiegato Jonas Parello-Plesner, direttore del think tank Alliance of Democracies Foundation e in passato target lui stesso di una operazione di spionaggio condotta su Linkedin.

Invece di sguinzagliare decine di agenti sul suolo americano, è molto più efficiente sedersi dietro un computer di Shanghai e mandare richieste d’amicizia a 30mila obiettivi”, ha spiegato a sua volta recentemente William Evanina, ex capo del gruppo di controspionaggio della Cia, che ha puntato il dito contro le agenzie cinesi, secondo lui particolarmente attive nel reclutamento tramite Linkedin. Lo scorso mese, per esempio, un ex agente Cia è stato condannato a 20 anni di carcere per aver passato informazioni sottobanco ai cinesi. E il reclutamento era avvenuto proprio tramite Linkedin.

Il punto è che Linkedin, a differenza di Facebook, è un social network potenzialmente più aperto: è frequentato da professionisti in cerca di lavoro, ansiosi di inviare curriculum, costruirsi nuovi contatti e proporre nuovi progetti a perfetti sconosciuti. È naturale che il groviglio delle interazioni sia molto più fluido rispetto a quello di Facebook, più costretto su famiglia e amici. Gli stessi contatti di Katie Jones (circa 52) hanno ammesso ad Ap di aver accettato l’invito di quella donna senza aver verificato il suo profilo.

Per creare le foto dei profili, le agenzie si servono dei Gag (generative adversarial network), gli algoritmi alla base della creazione dei vari video deepfake diventati virali in queste settimane. Descritti come una forma di intelligenza artificiale, i Gan sono di fatto il motivo di preoccupazione di vari governi negli ultimi mesi, vista la facilità con cui permettono di generare immagini e video quasi indistinguibili da quelli reali.

Come esseri umani abbiamo imparato a non fidarci ciecamente online degli username e della scrittura in generale, ma le foto sono diverse. Diamo per scontato, erroneamente, che non si possa sintetizzare un’immagine da zero. Pensiamo che una foto possa essere modificata, colorata, deturpata, ma che debba appartenere per forza a qualcuno di reale. Per questo tendiamo a fidarci istintivamente”, spiegano gli esperti del sito Which Face is Real, un progetto online che spiega le potenzialità dell’Ai nella creazione di immagini fake insegnando agli utenti a distinguerle dalle reali. Sul sito è presente un test semplicissimo, in cui viene richiesto di riconoscere di volta in volta quale tra due foto affiancate sia quella vera: su 10 coppie di foto, sono riuscito ad azzeccare la risposta solo 5 volte.

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