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Infermieri, perché il loro valore passa spesso inosservato?

da | Set 17, 2025 | Tecnologia


In uno scenario sanitario sempre più articolato, l’infermiere non è soltanto un pilastro dell’assistenza, ma ha un ruolo chiave nell’innovare. Oggi si sono aperte, infatti, nuove opportunità che arricchiscono e danno prestigio alla professione: basta pensare alla cartella clinica elettronica, alle applicazioni per la gestione delle terapie e ai dispositivi wearable per il monitoraggio remoto, che consentono all’infermiere di prendersi cura del paziente in modo più preciso, continuo e personalizzato. Le tecnologie arricchiscono quindi quella relazione che l’infermiere da sempre ha con i pazienti, rendendolo una figura chiave anche nell’assistenza a distanza. Sempre più spesso è coinvolto direttamente anche nella ricerca scientifica, grazie alla quale può sviluppare competenze nuove e specialistiche. Un’evoluzione del lavoro che non cancella le criticità, ma che apre una strada concreta verso un ruolo professionale più riconosciuto, di conseguenza rivalutato e soprattutto strategico per il futuro della sanità.

La gratificazione morale, il motore della professione

Lo stress morale è oggi una delle cause più profonde e meno visibili dell’abbandono da parte degli infermieri. Non si tratta semplicemente di frustrazione o di stanchezza cronica, ma di una sofferenza etica che nasce dal divario crescente tra ciò che un professionista sa essere giusto per il proprio paziente e ciò che (per mancanza di risorse, di tempo o per rigidità organizzative) non riesce a realizzare. “Quello che mette davvero in crisi gli infermieri non è soltanto lo stipendio – seppur in molti casi inadeguato rispetto alle responsabilità – ma l’impossibilità di mantenere le promesse fatte ai pazienti”, racconta Manara. “Non poter assicurare quella continuità, quella qualità nell’ascolto e nella presenza che sentiamo moralmente obbligati a garantire mina alle basi il senso del nostro lavoro”. Negli ospedali, nelle Rsa e nei pronto soccorso, l’infermiere è tipicamente l’unico punto fermo, la persona che rimane accanto al paziente lungo l’intero arco della degenza, che osserva, registra, interviene, intercetta segnali precoci prima ancora che si trasformino in emergenze.

Quando il numero di pazienti da gestire è troppo alto e il tempo a disposizione si riduce all’essenziale, la relazione di cura perde profondità, e il lavoro rischia di svuotarsi di significato. “Chi sceglie questo mestiere lo fa per vocazione, ma se viene messo nelle condizioni di lavorare male, va in crisi. I più sensibili sono anche i primi ad andarsene, e questo è il vero costo umano della disorganizzazione”, aggiunge Manara. “Chi resta, di solito lo fa per senso di responsabilità, ma anche perché sente che, nonostante tutto, c’è ancora qualcosa che vale la pena difendere”. Quel qualcosa è stato oggetto di ricerca, ed è la gratificazione morale, il motore nascosto che tiene molti professionisti agganciati a una professione che può essere faticosa, ma che non smette mai di essere profondamente significativa. Studi condotti al San Raffaele e in altri centri universitari hanno cercato di indagare non solo l’origine di questo disagio, detto moral distress, ma anche cosa consenta di resistergli al meglio.

La frontiera della cura? Territorio, prossimità e fiducia

L’infermieristica non si esaurisce all’interno dell’ospedale: con la trasformazione in corso sta passando anche al territorio, dove la cura assume forme nuove, più vicine ai bisogni concreti delle persone. Dalle visite domiciliari agli ambulatori infermieristici, sempre più professionisti si spostano dove i pazienti vivono, gestendo percorsi di assistenza continui e personalizzati. “Abbiamo intervistato migliaia di pazienti: la fiducia negli infermieri domiciliari è altissima. Non solo per le competenze cliniche, che sono fondamentali, ma soprattutto per la capacità di costruire relazioni solide, concrete ed empatiche con chi soffre”, chiarisce il professore. “La prossimità, infatti, non è solo una questione geografica, ma un modo di essere presenti, emotivamente e umanamente, in un momento di fragilità. E in un contesto come quello attuale, in cui le patologie croniche sono in crescita, questa fiducia rappresenta il fondamento stesso della cura”.

La relazione continua tra infermiere e paziente non può essere considerata un aspetto marginale, ma costituisce uno dei fattori centrali per il buon esito delle cure. È proprio attraverso questo legame che molti pazienti trovano la forza per affrontare percorsi complessi, accettare terapie invasive, convivere con malattie lunghe e difficili da gestire. “A volte è proprio l’infermiere a convincere il paziente ad accettare una terapia difficile. È lui che intercetta i dubbi, interpreta le esitazioni, accompagna le decisioni, facendo da ponte tra l’indicazione clinica e la vita reale del paziente”, aggiunge Manara. “Questo impatto relazionale ha effetti diretti sull’efficacia delle cure, eppure troppo spesso viene ignorato o sottovalutato dalle logiche di sistema. È un valore enorme, che meriterebbe di essere riconosciuto a pieno titolo”. Nonostante l’orientamento delle riforme sembri andare in questa direzione, puntando a rafforzare l’assistenza territoriale e domiciliare, resta un ritardo evidente nel riconoscimento normativo del ruolo infermieristico: mancano specializzazioni strutturate e percorsi di carriera coerenti con le competenze acquisite, oltre a una valorizzazione economica che sia all’altezza delle responsabilità quotidiane.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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