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domenica, Apr 23

Infinity War è stato l’apice del Mcu | Wired Italia



Da Wired.it :

5 anni fa Avengers: Infinity War arrivò come un uragano nelle sale cinematografiche di tutto il mondo, raggiungendo incassi record e lasciando di stucco il pubblico e la critica. La verità è che con buona pace di Avengers: Endgame, di quello schiocco finale di dita di Iron Man, questo fu il vero vertice qualitativo del MCU. Da quel momento infatti, tutto è andato a scadere nella Marvel, fino ad arrivare alla triste situazione attuale. Ecco che allora riassaporare questo film serve anche a ricordarci perché una volta le avventure di quegli eroi ci piacevano così tanto.

Il simbolo di una svolta assoluta nella cinematografia

Avengers: Infinity War arrivò forte di un’attesa febbrile da parte del pubblico, questo grazie ad uno sforzo produttivo decennale di cui ancora oggi dobbiamo ringraziare lui, Kevin Feige.
Tra i migliori produttori della storia del cinema, Feige aveva fatto qualcosa che si pensava impossibile: dominato progressivamente il mercato cinematografico mondiale, fatto appassionare chiunque ai supereroi. Aveva però anche offerto film che avevano sempre garantito ciò che un blockbuster deve garantire: divertimento, spettacolarità, assieme ad una capacità di diversificare l’offerta in sala. C’è poco da fare, le prime frasi MCU saranno studiate all’università, in campo economico o fate voi, rappresentano ancora oggi la perfezione di un’organizzazione che sa perfettamente quello che vuole e come ottenerlo. Ma soprattutto, a guardare il disastro creato con l’ultimo Ant-Man, la mediocrità di Wakanda Forever, la sensazione di totale perdita di ispirazione, appare chiaro che vi era un fattore su cui Feige e la recentemente epurata Alonso avevano potuto contare: il tempo.

C’è voluto tempo per creare le premesse per questo film corale in senso mastodontico, all’interno del quale c’erano tutti, ma davvero tutti i personaggi che la Marvel aveva fatto diventare beniamini del pubblico. Per quanto possa essere paradossale a pensarci oggi, Avengers: Infinity War ripartiva subito dopo quel Thor: Ragnarock che è indicato ancora oggi da molti come la prova tangibile dello scadere della qualità e della coerenza narrativa nella Marvel, con Taika Waititi che fu sostanzialmente incaricato di creare un gigantesco cinepanettone fumettistico per famiglie.
Nulla di tutto questo era presente in Avengers: Infinity War, con un inizio drammatico, la morte di Loki e di Heimdall, lo sterminio del popolo di Asgard, Thor battuto. Su tutto e tutti dominava lui, Thanos, il distruttore, armato della profonda e tagliente voce di un Josh Brolin, che dimostrò ancora una volta come senza una vera presenza attoriale dietro, anche la migliore CGI non può servire a nulla. Perché diciamoci la verità, Avengers: Infinity War la sua potenza la doveva dall’avere come protagonista il villain, fatto più unico che raro.

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Fernando Savater una volta ha scritto un film senza cattivi, è come un hamburger senza patatine fritte. Per quanto il concetto di villain sia stato purtroppo sempre più messo da parte proprio della Disney, non si può negare che Thanos abbia segnato un passo evolutivo di grande importanza di tale figura. Certo tra debolezze, fragilità, non si può non citare l’iconico Goblin di Willem Dafoe, il Pinguino di Danny De Vito, lo stesso Barone Zemo visto in Civil War.
Thanos però è diverso, non è un’anima caotica, preda di una rabbia personale, si muove sicuro di essere portatore di qualcosa di benefico per il mondo, di essere nel giusto e che solo lui può salvare l’universo da un annientamento assolutamente inevitabile. Egli era rimasto sempre presente per quanto in sottofondo, saggiamente dosato mentre intanto conoscevamo Thor, i Guardiani della Dalassia, Capitan America, Black Panther, mentre ci appassionava a Tony Stark e al Dottor Strange. Ma fu in questo film che la sua energia si liberò in modo vulcanico.

Ancora oggi, la scena in cui Thanos sacrifica Gamora rimane una delle migliori viste in un film di intrattenimento dell’ultimo decennio. Dal punto di vista semantico si è depositata presso la generazione Z come capitò a chi vide la morte di Artex a suo tempo. Di fatto è lì che comprendiamo veramente chi è Thanos: non un cattivo che fa male per il male, ma una forza inarrestabile mossa da una volontà ferrea. In lui rivivono personaggi come Alessandro il grande, Gengis Khan, Tamerlano o lo stesso Adolf Hitler perché bene o male sono anche per lui solo un punto di vista. Tutti loro avevano una cosa in comune: erano sicuri di cambiare il mondo per il meglio. Il finale, quel terribile schiocco di dita è stato un momento traumatico per molti, di certo una svolta oscura in un mondo che era parso muoversi con leggerezza. Ma era solo una finta, perché poi se la Marvel in quegli anni ha funzionato è stato proprio per la sua capacità di non evitare tematiche scomode o atmosfere tutt’altro che ottimiste.

Il perfetto film d’intrattenimento moderno

Avengers: Infinity War a dispetto del PG-13, guadagnò qualcosa come 2 miliardi e 100 milioni di dollari, lo fece in virtù sicuramente di una capacità promozionale unica, di un pubblico che era andato crescendo, nel corso degli anni, ed era molto più trasversale di quanto si possa sembrare. I film sugli Avengers interessavano i ragazzini di 12 o 15 anni, così come i cinquantenni, quelli che erano cresciuti negli anni ‘80 e ’90 leggendo la saga del guanto dell’infinito. Per tutti loro vedere sul grande schermo quelle storie, era il materializzarsi di una fantasia giovanile apparentemente impossibile. Ma soprattutto, Avengers: Infinity War sapeva donare tutto questo con una grandissima energia, sposando tematiche come la perdita, il dilemma morale se evitare un male maggiore commettendone uno minore. Un elemento che interessava non solamente Thanos, ma anche i vari protagonisti, su tutti il celebrale Doctor Strange. Lo avremmo capito solo nel film successivo come lui avesse previsto chi sarebbe vissuto e chi sarebbe morto.

Solo l’ennesimo esempio di come il concetto di linea narrativa classica all’epoca la Marvel sapesse esattamente come aggirarlo, donando però qualcosa di coerente, comprensibile e ben strutturato. Avengers: Infinity War si poggiava su una sceneggiatura di Christopher Markus e Stephen McFeely capace di dare ad ognuno dei tanti personaggi il giusto spazio, su un’ironia non più così terribilmente opprimente come sarebbe successo in altri casi. La stessa regia dei Fratelli Russo ancora oggi lascia senza fiato, anche in virtù di effetti visivi semplicemente meravigliosi. Si trovò il tempo di fare ricerca, innovazione, sia per la motion capture che per le scene collettive. Il risultato fu un Oscar strameritato. Ed ora? La Marvel è un incubo per gli addetti VFX, un fatto tanto paradossale quanto in fin dei conti coerente, con l’anima sfruttatrice dell’industria americana. Non hanno mai capito quando fermarsi, quando era il caso di scalare le marce, anche al costo di finire con in mano prodotti dalla qualità altalenante, molto spesso visivamente imbarazzanti.

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Avengers: Infinity War lasciò il pubblico ammutolito per la vittoria di Thanos, con la sconfitta degli eroi, un’Apocalisse quasi norrena, la fine del mondo. Qualcosa che la cinematografia americana non aveva mai concepito nell’universo di intrattenimento classico. Anche in questo elemento, vi è la grandezza di questo film, e questo non è un termine usato a caso, perché nell’universo dei blockbuster quelli che in fin dei conti sono sempre stati fedeli alla missione già fatta a suo tempo dei fratelli Lumière, intrattenere appunto, questo film rappresenta un modello di perfezione innegabile. Ancora oggi guardarlo significa ammirare un prodotto generalista perfetto, capace di essere universale non solo nella fruizione, ma nell’interpretazione che ognuno ne può dare. Certo, ci sono dei difetti, su tutto il depotenziamento assurdo di due personaggi dalla forza titanica come Visione e soprattutto Hulk, probabilmente la vittima più illustre del percorso della Marvel. Ma al netto di questo non solo pochi momenti in cui l’epica tocca dei picchi assurdi in cui anche la mitologia classicamente intesa faceva capolino.

Sono passati 5 anni da allora. In questo breve (breve?) tasso di tempo il cinema è cambiato completamente, Covid-19 ha distrutto il stravolto il mercato, tolto la centralità alle sale, lo streaming è diventato sempre più opprimente. Ma soprattutto, i cinecomic sono ormai avviati alla fine del loro percorso. Fosse avvenuto almeno in casa Marvel subito dopo questa Fase Tre, forse tutti ne avremmo giovato di più. Eppure, rimane anche una sensazione di svuotamento dell’esperienza, di isolamento della stessa. Perché come, un po’ acidamente, Scorsese aveva notato, anche Avengers: Infinity War alla fin fine era impossibile da riguardare con soddisfazione. Ha avuto il peso che ha avuto in virtù di quel momento, di quell’istante, di quell’emotività che donava al pubblico (non emozioni si badi bene). Rimane quindi, come quasi ogni film Marvel, una montagna russa, un parco giochi. Il migliore? Non come film, ma come evento semantico in sé sicuramente. Ma appena scesi diventò anche indefinito nella sua essenza.



[Fonte Wired.it]