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venerdì, Mar 10

Influenza aviaria, perché non vacciniamo gli uccelli



Da Wired.it :

Il problema è che per gli Stati Uniti, la quota maggiore del commercio internazionale di pollame non è rappresentata da uova e tacchini, bensì dai broiler,  sia per la loro carne che per gli scarti che gli americani non vogliono consumare, come le zampe. Secondo il Dipartimento dell’agricoltura statunitense, le esportazioni di carne di pollo hanno fruttato al paese più di 5 miliardi di dollari nel 2021. Ma molti paesi che acquistano pollo statunitense si rifiutano da tempo di accettare carne proveniente da broiler vaccinati, sostenendo che la risposta immunitaria alla vaccinazione e all’infezione influenzale sia così simile da rendere impossibile distinguere gli esemplari sicuri da quelli portatori del virus. In altre parole, il settore avicolo statunitense che ha meno bisogno di un vaccino è quello che rischia di più a usarlo, almeno dal punto di vista economico.

Qualcosa si muove

L’intensità dell’attuale ondata di H5N1 nel mondo potrebbe però sovvertire questa logica. Lo scorso autunno, in occasione di un incontro internazionale a Parigi è stata esplorata la possibilità di “rimuovere le barriere non necessarie” all’uso del vaccino contro l’influenza aviaria. A novembre, l’Unione europea (Ue) ha emanato nuovi regolamenti che consentono la vaccinazione del pollame a determinate condizioni, che entreranno in vigore questo mese. Dall’inizio dell’anno, i paesi dell’America centrale e meridionale, dove l’H5N1 è appena arrivato, hanno annunciato che inizieranno a vaccinare il pollame.

Alla fine del 2021, il Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti ha autorizzato un progetto di ricerca quinquennale con l’obiettivo di cercare nuovi vaccini contro l’influenza aviaria, capire come provarne l’efficacia e stabilire se l’uso dei vaccini induca il virus influenzale a mutare.

Un segmento della comunità di ricerca sostiene da anni che esiste un modo chiaro per distinguere gli uccelli vaccinati da quelli infetti. La strategia, chiamata Diva (acronimo dell’espressione inglese che significa “differenziare gli animali infetti da quelli vaccinati”), è in grado di creare un marcatore molecolare sostituendo una proteina del ceppo utilizzato per produrre il vaccino. Quando i polli vaccinati vengono testati, mostrano anticorpi contro il ceppo sostitutivo invece che contro il tipo selvatico, dimostrando così che la loro immunità deriva dal vaccino e che sono quindi sicuri per il commercio. Questa strategia è stata utilizzata due volte in Italia, nel 2000 e nel 2001, per bloccare i focolai causati nelle popolazioni di pollame dai ceppi influenzali H7N1 e H7N3.

L’esempio italiano

Gli altri paesi hanno sempre detto che i costi legati alla vaccinazione – per il vaccino stesso, ma anche per i test e le potenziali restrizioni alla circolazione – facevano sì che non ne valesse la pena – spiega Ilaria Capua, virologa e senior fellow per la salute globale del Johns Hopkins Sais Europe di Bologna, che propose di usare il sistema in Italia quando lavorava all’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie –. Ma le barriere commerciali possono essere annullate se si applica un sistema che indica che un gruppo è vaccinato e non è stato esposto al virus“.



[Fonte Wired.it]