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Intel, cos’è questa storia che potrebbe finire sotto il parziale controllo del governo degli Stati Uniti

da | Ago 18, 2025 | Tecnologia


Intel potrebbe finire sotto il controllo parziale del governo americano. Gli Stati Uniti stanno infatti esplorando la possibilità di acquisire una quota del colosso dei semiconduttori, attualmente in grave crisi finanziaria. L’ipotesi, come spiega il Wall street journal, è emersa dopo l’incontro di lunedì 11 agosto alla Casa Bianca tra il presidente Trump e l’amministratore delegato Lip-Bu Tan, durante il quale si è discusso del futuro della società e del ruolo del governo nel sostenerne la stabilità. L’operazione arriverebbe a seguito delle richieste pubbliche di dimissioni rivolte da Trump al dirigente, giudicato incompatibile con la guida di una delle aziende strategiche americane a causa dei suoi legami commerciali con la Cina.

Cosa sta succedendo

I problemi di Intel e i legami controversi dell’ad

Le preoccupazioni di Trump riguardano direttamente l’ad Lip-Bu Tan e i suoi legami con la Cina. Il manager di origini cinesi è stato nominato alla guida di Intel nel marzo 2025 dopo aver fatto parte del consiglio di amministrazione, prendendo il posto di Pat Gelsinger, licenziato alla fine del 2024 per i risultati deludenti dell’azienda in grave crisi finanziaria.

La sua carriera lo collega però da vicino al mercato cinese. Alla fine degli anni ottanta ha fondato Walden International, un fondo di venture capital che per decenni ha investito capitali americani in startup tecnologiche cinesi, e, dal 2009 al 2021, è stato ad di Cadence design systems, un’azienda che sviluppa software specializzati per la progettazione di chip avanzati senza stabilimenti produttivi. Proprio quest’ultima società è finita al centro delle polemiche a fine luglio, quando si è dichiarata colpevole di aver violato le leggi americane che vietano la vendita di tecnologie sensibili a istituzioni militari di Pechino. Cadence ha accettato di pagare 140 milioni di dollari di multe per aver fornito illegalmente i propri software alla National defense university, un’università militare che addestra ufficiali e sviluppa tecnologie per l’esercito cinese. La vendita è avvenuta durante il mandato di Tan, in violazione delle restrizioni imposte da Washington per impedire alla Cina di rafforzare il proprio apparato militare.

Per Trump, avere alla guida di Intel un dirigente che ha facilitato il trasferimento di tecnologie strategiche al principale rivale geopolitico degli Stati Uniti rappresenta un rischio inaccettabile per la sicurezza nazionale. A questo si aggiungono i ritardi nel progetto da 20 miliardi di dollari per il nuovo stabilimento in Ohio, dovuti alla crisi che sta attraversando l’azienda, che hanno messo in discussione i finanziamenti previsti dal Chips and Science Act, la legge del 2022 che costituisce il più grande investimento americano nella produzione di semiconduttori dalla Seconda guerra mondiale.

La strategia dell’America first nel settore dei chip

La possibile partecipazione statale in Intel è coerente anche con la più generale strategia dell’amministrazione Trump di aumentare la quota americana nella produzione globale di semiconduttori, oggi dominata dall’Asia. Attualmente gli Stati Uniti producono solo il 12% dei chip mondiali, rispetto al 37% degli anni Novanta, una dipendenza diventata evidente durante la pandemia quando le interruzioni della catena di fornitura hanno bloccato interi settori industriali. I funzionari dell’amministrazione hanno identificato Intel, nonostante l’attuale crisi, come l’azienda domestica con le migliori possibilità di sfidare Taiwan Semiconductor manufacturing company (Tsmc), il colosso taiwanese che produce oltre il 60% dei chip più avanzati al mondo.

In ogni caso, va detto che, i rapporti complessi tra Trump e il settore tecnologico non sono un segreto: il presidente americano ha più volte mostrato la volontà di intervenire direttamente nelle scelte aziendali. È accaduto la settimana scorsa con Nvidia e Advanced micro devices (Amd), i principali produttori statunitensi di chip per l’intelligenza artificiale, che hanno accettato di versare al governo il 15% dei ricavi generati in Cina per ottenere le licenze di esportazione necessarie a operare in quel mercato. Un approccio simile si è visto anche nell’acquisizione di US Steel – storica acciaieria americana – da parte della giapponese Nippon Steel, dove Trump si è assicurato una golden share che consente a Washington di bloccare qualsiasi decisione societaria ritenuta contraria agli interessi nazionali.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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