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venerdì, Mar 03

Internet, il braccio di ferro su chi paga le reti future



Da Wired.it :

Un pedaggio per viaggiare su autostrade digitali più efficienti. Entra nel vivo il confronto sul cosiddetto “fair share”, ovvero il riconoscimento da parte dei fornitori di contenuti come Meta, Alphabet, Apple, Amazon, Microsoft e Netflix di un contributo per costruire le nuove infrastrutture di rete e di telecomunicazioni. Con l’aumento esponenziale del traffico di dati su rete fissa e mobile, le compagnie telefoniche chiedono alle grandi piattaforme digitali di condividere i costi generati da questo aumento. I player chiamati in causa sono i soliti noti che nel 2021 pesavano per oltre il 56% del traffico di dati mondiale. È stata la Commissione europea a dare il via alla battaglia, lanciando una consultazione di dodici settimane con tutti gli attori interessati. 

Che il traffico di dati si stia gonfiando a dismisura è cosa nota: secondo le previsioni della società di consulenza Axon, nel 2023 l’utente medio userà sul proprio smartphone 16,2 giga al mese, quasi il doppio rispetto al 2021. Sulla rete fissa la musica non cambia (454 giga al mese contro 293). E non cambia nemmeno guardando alle tecnologie emergenti, dagli sviluppi dell’intelligenza artificiale ai mondi virtuali immersivi, che aumenteranno sensibilmente la quantità di dati in circolazione. 

Nuove reti

Aumenti che costano cari, almeno secondo gli operatori di telecomunicazioni, che negli ultimi dieci anni hanno investito in Europa complessivamente oltre 500 miliardi di euro per supportare la crescita del traffico. Frontier Economics per conto di alcune telco ha provato a stimare l’entità dei costi ascrivibili ai giganti tech: l’incremento di traffico da loro generato nel 2021 avrebbe portato a costi aggiuntivi tra i 15 e i 28 miliardi. Per gli operatori, affermano fonti a conoscenza del dossier, è impossibile generare rendimenti adeguati e mantenere i livelli di investimento necessari, con i consumatori che si aspettano di pagare sempre meno. Da qui la proposta – di cui la Tim italiana è tra i principali promotori – di un “contributo equo” per chi transita lungo le reti e vi distribuisce contenuti gratuitamente. Anche se, a ben vedere, le società di telecomunicazioni addebiterebbero due volte lo stesso servizio: ai generatori di traffico e agli utenti.

Senza contare poi l’obiettivo fissato dall’Unione europea di connettere i 450 milioni di europei alla banda ultralarga entro il 2030, che richiede risorse sempre più imponenti. E i maggiori investimenti, realizzati grazie al “fair share”, consentirebbero anche una penetrazione più rapida della rete 5G, sostiene l’industria delle telecomunicazioni. Con un occhio di riguardo all’impatto ambientale: vale a dire, spegnere le apparecchiature di rete più vecchie e passare a kit ad alta efficienza energetica. 

Big tech contro

Non concordano i colossi tecnologici, che di una tariffa di transito vedono gli effetti collaterali: se le società tecnologiche dovranno pagare una commissione, gli investimenti in contenuti diminuiranno, oppure aumenteranno i costi dei servizi cloud e streaming. A perderci, in definitiva, potrebbe essere l’utente finale.Chiedere alle piattaforme di contenuti di pagare una tassa per la consegna del traffico renderà internet tutt’altro che aperto ed equo per i consumatori”, afferma un portavoce di Google. Le aziende tech ritengono inoltre di fare già la loro parte, spendendo decine di miliardi all’anno in infrastrutture di rete europee, tramite cavi sottomarini e data center. 

Non mancano gli appelli alla neutralità della rete, il principio in base al quale le società di telecomunicazioni non possono differenziare le prestazioni di connessione fornite ai produttori di contenuti. Secondo i giganti della tecnologia, il “fair share” è in netto contrasto con la disciplina europea (che comunque non è incisa nella pietra). Mentre per le telecomunicazioni l’infrastruttura resterebbe neutrale: i bit, per intenderci, viaggiano tutti alla stessa velocità. Del resto, in autostrada i camion pagano più delle auto, ma non entrano per ultimi. 

Difficile, per il momento, immaginare il punto di caduta. Un’opzione è la definizione di un quadro normativo in cui le società di telecomunicazioni possano negoziare individualmente con le aziende che generano traffico intenso. Non si tratta però, secondo la Commissione europea, di stabilire unicamente se un interesse acquisito debba prevalere sull’altro, la posta in gioco è più elevata. “Tutti, domani, dovranno avere un supercomputer in tasca, in macchina, a casa”: così il commissario per il mercato interno Thierry Breton ha inaugurato il Mobile World Congress di Barcellona. E un simile salto in avanti richiede, “fair share” o meno, un nuovo modello di finanziamento delle infrastrutture di rete. 



[Fonte Wired.it]