Ispace tenterà un nuovo allunaggio?
“Non uno, due. Abbiamo due nuovi lander di nuova generazione: uno negli Stati Uniti, il nostro più grosso, chiamato Apex 1.0, e un altro della Series 3, realizzato in Giappone. Apex verrà lanciato nel 2027 e sarà destinato al lato nascosto della Luna con un importante payload della Nasa e un rover costruito in Lussemburgo. Avrà a bordo anche i nostri payload commerciali. La Series 3 decollerà tra il 2027 e il 2028 e avrà il suo set di payload dedicati”.
Dopo due allunaggi falliti, puntare al lato nascosto non è un balzo enorme?
“È vero, ma a ispace non procediamo se non per grandi salti. Per noi è normale amministrazione. Abbiamo anche una missione europea”.
Quale?
“Si chiama MagPie ed è dedicata all’esplorazione del suolo lunare. Siamo già nella seconda fase e speriamo venga confermata e finanziata al prossimo Consiglio Ministeriale Esa, a fine novembre”.
ispace è giapponese, ma ha profondi legami con l’occidente.
“Siamo l’unica azienda con una presenza reale su tre continenti. I nostri competitor, per lo più americani, operano quasi esclusivamente negli Stati Uniti. Peraltro siamo così fin dall’inizio: sono entrato in ispace otto anni e mezzo fa, quando l’azienda impiegava solo 25 persone, quasi tutte a Tokyo. L’ufficio in Lussemburgo è stato inaugurato nel 2017. Questo approccio, oggi comune alle agenzie spaziali, può essere replicato anche a livello industriale. Detto altrimenti: ispace punta ad aumentare l’autonomia in aree geografiche specifiche — lander in Giappone, negli Stati Uniti, rover in Europa — ma collaboriamo strettamente tra di noi. Il percorso tracciato per l’Europa è chiaro: costruire autonomia, allo stesso tempo rafforzando le partnership”.
Lamamy, qual è la sua storia?
“Sono cresciuto in Europa, perlopiù in Francia. Sono partito 24 anni fa per gli Stati Uniti, dove ho trascorso 16 anni: ho studiato al Mit di Boston, poi ho lavorato al Nasa Jet Propulsion Laboratory. Lì ho partecipato a diversi progetti: la mia prima missione è stata su Marte, con il lander Mars Phoenix. In seguito ho lavorato per Orbital Sciences (poi Orbital ATK, oggi parte di Northrop Grumman), un’azienda statunitense che produce satelliti.
Lo ripeto spesso al mio team: quando ho iniziato, se volevi lavorare su Marte, sulla Luna o su progetti simili, dovevi farlo per forza con la Nasa, con l’Agenzia spaziale europea o con la Jaxa, quella giapponese. Non c’erano alternative.
Sedici anni dopo, mi sono reso conto che il settore del new space era cresciuto enormemente e offriva nuove opportunità anche nell’esplorazione. Così ho colto l’occasione di creare da zero un dipartimento di ingegneria per una nuova società, ispace Europe, che ancora non esisteva in Lussemburgo. Otto anni e mezzo dopo, siamo quasi cinquanta persone”.



