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venerdì, Set 11

dove investire per ridare slancio alle esportazioni



Da Wired.it :

Sace disegna la mappa dell’andamento dell’export del made in Italy dopo la prima ondata di coronavirus e indica le destinazioni più promettenti

 (AFP via Getty Images)

Un calo a doppia cifra secondo solo a quello del 2009, l’anno successivo al crack di Lehman Brothers che diede inizio alla grande recessione. È quello che registreranno le esportazioni italiane nel 2020, destinate a ridursi dell’11,3 per cento – arrivando a un totale di 422 miliardi di euro, un livello analogo a quello del 2016 – a causa dell’impatto della pandemia di Covid-19, ma anche delle incertezze ereditate dal 2019: pil e commercio internazionale in frenata, crescita delle pulsioni protezionistiche e instabilità geopolitica.

La tendenza, però, dovrebbe iniziare a cambiare direzione già nel 2021, da cui ci si attende un recupero pressoché totale, con una risalita dell’export del 9,3 per cento a cui farà seguito, nei due anni successivi, un aumento medio del 5,1 per cento che porterà le vendite di beni italiani all’estero a un totale di 510 miliardi.

Le stime sono contenute in Open(Again), l’ultimo rapporto sull’export di Sace, la società assicurativa-finanziaria di Cassa depositi e prestiti, presentato in streaming giovedì 10 settembre dal presidente Rodolfo Errore e dall’amministratore delegato Pierfrancesco Latini, con la partecipazione dei ministri dell’Economia, Roberto Gualtieri, e degli Esteri, Luigi Di Maio.

Fonte: Sace, Rapporto export 2020

Il mondo sta aspettando la ripartenza del made in Italy”, ha detto Errore, e con questo rapporto Sace intende offrire alle imprese “una bussola per sostenerle nella loro crescita, evidenziando le opportunità da cogliere sui mercati esteri. Il suo titolo sottolinea la voglia di ripartire dopo la pandemia, ma anche la volontà di mantenere l’apertura al mondo mettendo da parte i protezionismi dell’ultimo periodo”.

Secondo l’economista capo dell’azienda, Alessandro Terzulli, che ne ha illustrato i contenuti, il report dà alle aziende italiane gli strumenti per “approcciare con maggior consapevolezza i mercati esteri. In un momento in cui è necessario ridefinire le strategie di posizionamento internazionale per dare nuovo slancio al business, il presidio dei mercati esteri, specie quelli geograficamente e culturalmente più distanti, rappresenterà sempre più un fondamentale fattore di vantaggio competitivo per le nostre imprese”.

Geografia della ripresa

La ripartenza, scrive il documento, sarà a diverse velocità, tanto dal punto di vista geografico che da quello dei comparti industriali. La contrazione più grande riguarderà l’Europa (-11,4%) e il Nord America (-9,8%), aree che rappresentano più del 60 per cento delle vendite estere di beni italiani. I settori che hanno il maggior potenziale di crescita sono la farmaceutica e gli alimentari-bevande negli Stati Uniti, gli apparecchi medici in Germania e le energie rinnovabili nel Nord Europa. In questi mercati il rimbalzo dell’export nel 2021 sarà rilevante, ma non in grado di tornare ai livelli pre-Covid, che si raggiungeranno solo l’anno successivo.

Una risalita più veloce la registreranno invece i paesi dell’Europa centro-orientale, dell’area ex sovietica – dove le esportazioni italiane riusciranno già l’anno prossimo a superare i livelli del 2019 – e il Medio Oriente e il Nord Africa, dove le opportunità migliori vanno dall’estrazione di combustibili fossili nell’area del Golfo persico alle energie rinnovabili in Marocco (che punta molto su questo settore) e ancora alla sanità in Arabia Saudita, che ha pianificato grossi investimenti in questo campo.

Fonte: Sace, Rapporto export 2020

Molto più difficile sarà invece la ripresa in Asia, dove l’export italiano calerà quest’anno del 10,9% anche come riflesso di un calo del pil nella regione che interrompe un ciclo di crescita ventennale, e riprenderà a salire – ma in misura inferiore, con un +9% – solo nel 2021, in particolare nei settori farmaceutico in Cina, delle energie rinnovabili in Thailandia, dell’alimentare in Giappone e della trasformazione dei cibi in India.

Discorso analogo per quanto riguarda l’America Latina, con un calo dell’8,2% quest’anno a cui seguirà una risalita del 7,5% nel 2021, trainata sempre dalle energie rinnovabili e dalla farmaceutica, ma anche dall’agrobusiness e dalle infrastrutture. Infine, l’Africa Subsahariana nel 2020 segnerà un arretramento che non risparmierà alcun settore a parte quello dei mezzi di trasporto, ma tra i comparti a maggior potenziale vi sono: energia elettrica e rinnovabili in Sudafrica; le infrastrutture in Senegal; le infrastrutture di trasporto in Ghana; la meccanica strumentale in Kenya; l’agrobusiness in Angola.

L’andamento dei settori industriali

Tra i comparti che più hanno risentito della stretta commerciale dovuta alla pandemia, ha spiegato Terzulli, ci sono quelli dei beni intermedi come i metalli e – in percentuale inferiore – le gomme e le plastiche colpite soprattutto dal calo degli ordinativi dell’industria dell’auto. Difficile anche la situazione dei beni di consumo e della moda – colpita dal lockdown proprio all’inizio della stagione primaverile – che vedrà una lenta ripresa solo nel 2021, mentre “la chimica, trainata dall’industria farmaceutica, si è dimostrata più resistente allo choc” e già l’anno prossimo supererà il valore delle esportazioni del 2019.

I settori meno colpiti in assoluto dalla crisi, infine, sono quelli dell’agricoltura e degli alimentari, dove la produzione non si è fermata durante il confinamento, e il calo dovuto alla chiusura di bar e ristoranti è stato in buona parte compensato dalla crescita della spesa nei canali della distribuzione più o meno organizzata.

Gli scenari più pessimistici

Il rapporto Sace, infine, vista la perdurante incertezza sull’evoluzione dell’emergenza sanitaria a livello globale, ipotizza anche due scenari alternativi rispetto a quello base, fondati su previsioni peggiorative come l’eventualità di un nuovo lockdown su scala globale nei primi mesi del 2021 o quella di un allentamento più graduale delle restrizioni all’attività economica e delle misure di distanziamento sociale.

Nel primo caso, l’export italiano di quest’anno scenderebbe del 12 per cento, nel secondo addirittura del 21,2, peggio del 2009. In tutti e due questi scenari, il 2021 sarebbe un anno di transizione, e solo nel 2023 il commercio estero ritornerebbe ai livelli pre-Covid.

Dopo l’epidemia, ha concluso il presidente Errore, “il mondo sarà più indebitato, meno globalizzato e molto più digitalizzato“, e le aziende italiane dovranno cogliere questi aspetti per riposizionarsi: “Dobbiamo proiettarci su un orizzonte di rilancio di medio-lungo termine, provando a trasformare le avversità in opportunità e cogliendo al massimo gli spunti che arrivano anche dal Recovery Plan, provando insieme a cambiare il nostro Paese per trasformarlo in un terreno fertile per la crescita delle nostre imprese in Italia e nel mondo”.

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[Fonte Wired.it]