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giovedì, Nov 14

Italia prima in Europa per morti da polveri sottili, ma non sembra un problema


Undicesimi al mondo per decessi precoci dovuti al Pm2.5, 46500 casi nel 2016. La questione ambientale, tra inquinamento e allerta maltempo, non solo ci sfiora ma ci uccide

Sempre sull’onda del riscaldamento globale e del cambiamento climatico di cui l’emergenza a Venezia ci sta fornendo una drammatica dimostrazione, arriva ora uno studio continuativo pubblicato su The Lancet secondo il quale l’Italia fa registrare un altro record negativo europeo, sulla scia di alcuni allarmanti rapporti usciti già negli scorsi anni: siamo il primo paese in Europa, e undicesimo nel mondo, per morti premature da esposizione alle polveri sottili Pm2.5. Lo scorso marzo l’Organizzazione mondiale per la sanità aveva spiegato che l’aria inquinata uccide ogni anno 80mila persone solo in collocandoci addirittura un po’ più in alto nella triste classifica, intorno al nono posto, forse perché teneva in considerazione anche altri tipi di gas nocivi come Pm10, biossido di azoto e ozono.

Un bilancio disastroso che si inserisce in un quadro apocalittico: ogni anno morirebbero circa 8 milioni di persone per l’inquinamento atmosferico sia in locali chiusi (4,3 milioni) che all’aperto (3,7 milioni). Lo 0,1% della popolazione mondiale che soffre, specie nei Paesi a basso e medio reddito, l’uso di combustibili come legna, carbone e residui organici in sistemi privi di abbattimento delle emissioni ma anche mobilità privata. Le immagini arrivate pochi giorni fa da Nuova Delhi, con agravamenti proprio nelle ultime ore, non ci stupiscono più, anche se dovrebbero: le Pm2.5 hanno toccato livelli venti volte superiori al limite tollerabile dalle linee guida dell’Oms. Il governatore Arvind Kejriwal ha paragonato la capitale indiana a “una camera a gas”. Sebbene in quel caso le ragioni siano in parte locali, legate ad esempio alla bruciatura delle stoppie nelle regioni che circondano la città.

Lo studio su The Lancet, intitolato Countdown on Health and Climate Change, spiega come nel 2016 siamo stati registrati in Italia 45.600 decessi in età precoce. Una strage che forse dobbiamo ostinarci a paragonare ad altre cause di morte precoce che colpiscono il paese per comprenderne la portata reale: gli incidenti stradali, nel 2018, hanno per esempio causato 3.334 vittime. Sempre troppi, ovviamente. Eppure l’allarme sociale è giustamente enorme (anche perché, a onor del vero, i feriti sono stati 242mila) e senz’altro superiore alla qualità dell’aria che respiriamo. Ma il punto è che su temi del genere – il clima che cambia e ci sovrasta, ci uccide perfino se non ci muoviamo in modo serio e tempestivo – fatichiamo ancora a cogliere le dimensioni concrete. E le conseguenze.

Inondazioni, incendi, sconvolgenti ondate di calore, fenomeni atmosferici violentissimi – certo non anomali in senso assoluto né sconosciuti ma la cui potenza e frequenza è in costante aumento – innalzamento del livello dei mari, cambiamenti climatici e migrazioni forzose, diffusione di malattie infettive sconosciute, si pensi alla dengue o al colera: sono temi lampanti ma che fino a qualche tempo fa pensavamo non potessero toccarci. Non solo ci stanno toccando ma ci stanno anche uccidendo. Ripetiamolo: 40mila persone l’anno scomparse per l’aria inquinata in un paese occidentale che, sotto questo profilo, sembra più vicino alle aree in via di sviluppo che a quelle più avanzate.

In questo senso la sfida climatica e ambientale avanzata da Greta Thunberg e dal movimento che le si è raccolto intorno è fatale: numeri come questi costituiscono al momento l’eredità che lasceremo alle prossime generazioni se, come minimo, non ci allineeremo agli obiettivi degli accordi di Parigi. Dai quali, per giunta, protagonisti come gli Stati Uniti scappano a gambe levate: scambiano più margini di manovra oggi su vincoli e fonti energetiche ipotecando il futuro prossimo, un futuro che però sta fregando tutti perché è ormai quasi il presente. Come quelli che si abbuffano a cena pensando che i chili di troppo o i problemi alla salute non arriveranno mai: alla fine la natura presenterà il conto.

Tutto questo impatta non solo sul dato umano ma anche su quello economico: quelle morti da Pm2.5 ci costano perdite per milioni di euro, le ondate di calore che investono alcune aree, in particolare del Mediterraneo, riducono le ore lavorate (si stima una perdita di 45 miliardi di ore perse nel 2018 rispetto al 2000, 1,7 milioni in Italia) sena contare i danni dai fenomeni naturali – solo il maltempo dello scorso autunno sull’ in particolare il Triveneto, ci è costato 5 miliardi di euro – le ricadute sui servizi pubblici e sui sistemi sanitari, la malnutrizione e la riduzione del potenziale dei raccolti. L’unica strada per chi ha già coscienza è premiare la politica che metta davvero al centro questi argomenti, senza rinunciare alla crescita ma legandola alle tecnologie pulite. Per chi non ha coscienza, ci stanno purtroppo pensando il clima e la stessa avidità umana.

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