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giovedì, Gen 12

ItsArt, la storia è finita come è iniziata: male



Da Wired.it :

La morale è che dovremmo fare un po’ meno gli americani. E invece di buttare milioni di euro nella “Netflix della cultura”, avremmo potuto impiegarli per ideare altri strumenti di sostegno ai lavoratori del settore, falcidiati dal biennio horribilis del Covid-19 e liquidati invece con qualche mancetta. ItsArt, l’ennesima creatura estratta dal cilindro dell’ex ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, è stata messa in liquidazione da Cassa depositi e prestiti (Cdp), trascinata a forza nella disperata impresa insieme alla piattaforma Chili. 

Il bilancio parla chiaro: ItsArt non è praticamente esistita, non la conosceva né usava nessuno, non aveva alcun senso commerciale né alcun indirizzo artistico o editoriale. Dunque ha solo speso (tutto quello che aveva in cassa) e ricavato briciole. Col cambio di governo è arrivata la (stavolta sacrosanta) decisione del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano di non rifinanziare una piattaforma nata e cresciuta senza piano industriale, senza un’offerta commerciale lucida, senza niente se non un po’ di sano populismo in salsa dem. La strada della liquidazione era giusta e inevitabile.

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Lo dicono i dai del bilancio del 2021, primo anno di attività: 7,5 milioni di perdite. La piattaforma voluta dal ministro Franceschini è in un vicolo cieco. Un remake del flop di Verybello

Il progetto

Il ministero ci aveva messo una decina di milioni, Chili la piattaforma per un valore di 6 milioni e Cdp altri 6,5: circa 22,5 milioni contro i 30 preventivati tre anni fa. Nel primo anno ItsArt è costata 7,5 milioni oltre a 6 di “beni e servizi” e 900mila per il personale. Dall’altra parte ha raccolto 141mila utenti registrati per 246mila euro d’incassi, per quasi metà cambio merce. Ma pure sui numeri bisognerà fare chiarezza fra qualche tempo. 

Eppure Franceschini lo avevamo avvisato già a dicembre 2020, quando nel deserto del Covid-19 si cercavano legittimamente nuove strade per dare un po’ di ossigeno al comparto culturale italiano rimasto a porte chiuse e senza visitatori né spettatori: occhio, perché così come l’avete pensata diventa un’altra VeryBello. E la sorte è stata proprio quella, ma almeno il portale turistico lanciato in pompa magna nel 2015 ci costò “appena” 35mila euro. In altre analisi del percorso avevamo infatti visto come – nell’entusiasmo dell’allora ministro che sognava, davvero non si capisce in virtù di cosa, l’“apertura a nuovi mercati” e la “crescita internazionale” – avesse cambiato tre amministratori delegati, predisposto un’offerta fotocopia alla Chili, con gran parte dei contenuti pay per view, prezzi talvolta fuori mercato e addirittura in certi casi già visibili gratis su Rai Play. 

La fiera delle vanità

Ci domandavamo dunque chi ci avrebbe messo la benzina che la piattaforma stava rapidamente bruciando (nessuno, a questo punto), perché non ci si fosse appoggiati alla tv di Stato invece che a un partner privato, per quale ragione non si fosse scelta una strategia diversa e che puntasse davvero sulle eccellenze e su un’idea diversa di distribuirle invece dell’ennesimo scimmiottamento di qualche grosso player internazionale, quale ricaduta possano aver avuto i lavoratori della cultura da questa roba. Risposte: nessuna. Tempo perso, soldi volatilizzati.

Al netto dei dettagli di quest’ennesimo fallimento – ma per fallire bisogna almeno decollare, si tratta più che altro di colpi a vuoto – sarebbe davvero il momento che i politici che siedono ai ministeri la smettessero coi propri “vanity project”. Perché VeryBello e ItsArt sono stati niente più di questo: progetti di vanità senza alcuna utilità né pratica né culturale in senso ampio. Tentativi, senz’altro in buona fede, ma costati troppo alle casse pubbliche (chi ce li rende quei soldi?) e di cui sarebbe bastata un’analisi spassionata da parte di professionisti del settore con retroterra di successo, già su carta, per decretarne il destino. Irritanti egocentrismi che consolidano nei cittadini l’idea di una classe politica sprecona e, nella migliore delle ipotesi, perfino un po’ ingenua, aliena dal mondo in cui viviamo e che quando prova ad avventurarsi su ambiti contemporanei fa più danni che altro.



[Fonte Wired.it]