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lunedì, Set 30

Ius culturae: quando il centrosinistra ha paura di fare il centrosinistra


Il governo giallorosso riapre la discussione sulla legge per facilitare l’ottenimento della cittadinanza italiana. Ma dal Pd fanno sapere che non è una priorità, sacrificando alla propaganda i propri ideali

Nella notte c’è stato un incontro a Palazzo Chigi tra gli alleati di governo Pd e Movimento 5 stelle, per parlare di legge di bilancio, Iva e altri temi su cui già si sta litigando. Tra questi lo ius culturae, tornato all’improvviso al centro del dibattito politico dopo essere rimasto – ovviamente – nel cassetto durante la scorsa legislatura, quella gialloverde.

Lo ius culturae prevede per un minore straniero nato in Italia o arrivato nel Paese entro i 12 anni di età la possibilità di ottenere la cittadinanza italiana, a patto che abbia frequentato regolarmente per almeno 5 anni uno o più cicli di studio o che abbia seguito dei percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali. Esso si distingue dallo ius soli, relativo all’acquisizione della cittadinanza come conseguenza del fatto giuridico di essere nato sul territorio, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. E dallo ius sanguinis, che indica la trasmissione della cittadinanza dal genitore ai figli.

Oggi la legge italiana, decisamente deficitaria sul tema della concessione della cittadinanza, prevede che chi è nato in Italia da genitori stranieri possa diventare cittadino italiano solo al compimento dei 18 anni, a condizione peraltro che abbia mantenuto costantemente la residenza in Italia dalla nascita. Questo significa che in Italia ci sono centinaia di migliaia di minorenni nati e cresciuti in culturalmente e linguisticamente italiani, ma che non sono tali sulla carta d’identità. Un paradosso di cui parla da tempo, con le discussioni sulla modifica di questa legge che vanno avanti da anni – la mancata approvazione della legge sullo ius soli durante il governo Gentiloni è stato uno degli aspetti più criticati di quell’esecutivo.

Comunque sia, dopo un anno e qualche mese di sovranismo, prima gli italiani e porti chiusi, il nuovo governo sembra voler dare un segnale che ora la musica è cambiata. Il presidente della Commissione affari costituzionali alla Camera, Giuseppe Brescia, ha infatti annunciato che nei prossimi giorni ricomincerà in quella sede la discussione della legge per lo ius sanguinis. “Credo si possa lavorare per introdurlo”. La reazione della destra non si è fatta attendere: “pronti alle barricate contro la nuova legge”, ha dichiarato Giorgia Meloni, che ha anche avviato una raccolta firme. “La cittadinanza non è un biglietto del luna park”, ha invece commentato Matteo Salvini.

Queste reazioni dovevano segnare un solco ideologico tra il prima – il governo gialloverde dal profumo sovranista – e il dopo, l’esecutivo attuale. E invece no. Perché anche Movimento cinque stelle e parte del Pd hanno subito ridimensionato il tutto, facendo capire come quella sullo ius culturae non sia una tematica prioritaria. “Ora in commissione ci sono altre priorità come una nuova legge sul conflitto di interessi e il taglio del numero dei parlamentari”, ha dichiarato Luigi Di Maio in tv. “Riprendere ora il dibattito sull’approvazione di questo provvedimento è un errore“, ha invece scritto la sottosegretaria al Mise del Pd, Alessia Morani.

Lasciando perdere la posizione di Di Maio – c’era anche lui d’altronde nel governo del sovranismo che fino a un mese fa chiudeva i porti – a stupire è la posizione di Alessia Morani. O forse no. In effetti, non è la prima volta che la sinistra fa la destra, abbandonando sue battaglie decennali per attirare qualche voto in più. “Il paese è profondamente diviso sul tema dell’immigrazione e non basterà approvare una legge sullo ius culturae per eliminare le tossine del razzismo inoculate da Salvini”. Per la Morani, insomma, prima di allargare le maglie della cittadinanza italiana, bisogna bonificare il paese dalla xenofobia.

Approvare una legge sullo ius culturae potrebbe essere un ottimo modo per farlo allora, sarebbe il segnale che le cose sono cambiate. Non per la Morani, che mette la costruzione del consenso davanti ai diritti di centinaia di migliaia di minorenni italiani di fatto ma che non possono sentirsi tali: “Sono anni che diciamo che dobbiamo ritornare in sintonia con il ‘popolo’ e per farlo, però, occorre prestare davvero l’orecchio a quello che sente il ‘popolo”. In pratica, se il primo partito in Italia è quella Lega intrisa di sovranismo e xenofobia, cerchiamo di non allontanarci troppo da questi ideali perché significherebbe inimicarsi la maggioranza degli elettori.

L’estensione del daspo urbano a Milano, gli sgomberi a Bologna, l’ossessione del decoro di Firenze. E poi i decreti sicurezza di Minniti. Sono sempre più le occasioni in cui il Pd flirta con i temi e le ideologie della destra nostrana. Perso nel proprio vuoto ideologico, il centrosinistra non vuole rinunciare a quegli aspetti che solleticano la pancia del paese: sicurezza, ordine, sovranismo. Piuttosto che offrire un’alternativa politico-ideologica a tutto questo, ha deciso di servirci una versione soft degli stessi temi. Quello che il Pd non capisce, però, è che le persone preferiranno sempre l’originale, piuttosto che un suo fac simile. È ora che il centrosinistra smetta di scimmiottare le forze populiste e sovraniste di casa nostra e torni a fare il centrosinistra.

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