Intanto, le nuove restrizioni rischiano di avere effetti negativi immediati. Settori chiave come sanità e assistenza sociale, già in sofferenza, si reggono oggi su manodopera straniera. Privarsene, senza un piano alternativo credibile, significa mettere a rischio i servizi pubblici, e dunque alienarsi una parte dell’elettorato che aveva votato Labour proprio per difenderli. Starmer, nel suo discorso, ha accusato i governi conservatori di aver attuato un “esperimento di confini aperti” fallimentare, scaricando su di loro la responsabilità dell’aumento dei flussi. Ma il partito non ha ancora offerto una visione chiara su come rimpiazzare i lavoratori stranieri né su come finanziare la spesa pubblica senza aumentare le tasse o tagliare i servizi.
Per Albertazzi il vero errore è strategico: “Penso che Keir Starmer venga consigliato malissimo. Dovrebbe parlare di sanità, di economia, di contratti di lavoro di qualità, di ambiente. E invece parla dei barchini (small boats, in inglese, ndr). Così facendo, perde i propri elettori e non ne conquista di nuovi”. Non solo: il rischio è di spaccare il partito. Una parte consistente dei deputati laburisti, formata nel settore pubblico o nel mondo delle amministrazioni locali, continua a vedere l’immigrazione come una risorsa più che un problema. E potrebbero presto ribellarsi a una linea che considerano non solo inefficace, ma anche controproducente.
Fatto sta che tutti i principali partiti britannici, al momento, sembrano impegnati in una gara a chi è più duro sull’immigrazione. L’ottimismo della Cool Britannia sembra un’altra era geologica. Il liberalismo di sinistra sembra fuori sincrono nel discorso pubblico.
Nel contesto attuale, chi può rappresentare una reale alternativa al discorso dominante su immigrazione e sicurezza? I Verdi, i Lib-Dem e i candidati indipendenti legati alla causa palestinese stanno raccogliendo consensi tra quegli elettori urbani e progressisti dal Labour. Ma se si pensa a un partito capace di vincere le elezioni e dominare in modo trasversale la società, questo è un vuoto difficilmente colmabile nell’immediato. Secondo Albertazzi, “ci avviamo verso una frammentazione crescente, in parte nascosta dal sistema elettorale uninominale, ma ormai evidente”.
La parabola di Keir Starmer, eletto da chi voleva punire Corbyn per essere stato troppo ambiguo sulla Brexit e diventato ammiratore di Georgia Meloni, sembra oggi ricordare da vicino il monito di Henry Kissinger: le decisioni più difficili sono quelle che non si possono giustificare al momento in cui vengono prese – e che possono essere giudicate solo a posteriori, quando ormai è troppo tardi per cambiare rotta. La sfida per Starmer non è soltanto quella di rispondere alle paure dell’elettorato, ma di offrire una visione alternativa credibile. Inseguire Farage, avverte Albertazzi, è una corsa verso il nulla.