La sopravvivenza economica dell’editoria europea passa per un algoritmo. La Commissione europea ha aperto giovedì 13 novembre un’indagine formale contro Google per presunta violazione del Digital markets act (Dma), la normativa comunitaria che regola le grandi piattaforme digitali designate come gatekeeper, ovvero controllori dell’accesso digitale. L’accusa è quella di aver penalizzato sistematicamente i contenuti degli editori nei risultati di ricerca attraverso una policy anti-spam introdotta nel marzo 2024, relegandoli in posizioni meno visibili quando includono materiale sponsorizzato o promozionale di terze parti.
Cosa c’è in ballo in questa battaglia
Il modello di business degli editori messo a dura prova
La questione centrale riguarda la cosiddetta site reputation abuse policy, una strategia introdotta da Google nel marzo 2024 per contrastare il fenomeno del parasite Seo, pratica attraverso cui soggetti terzi pubblicano contenuti di bassa qualità su siti autorevoli per sfruttarne il posizionamento nei risultati di ricerca. Un esempio: un sito di prestiti poco raccomandabile potrebbe pagare un giornale rispettabile per pubblicare articoli che parlano bene dei suoi servizi, sfruttando la buona reputazione del giornale. Il problema è che secondo la Commissione europea Google starebbe abbassando di posizione indiscriminatamente tutti i contenuti dei media quando includono materiale commerciale di partner esterni: anche quando si tratta di forme normali di guadagno come articoli sponsorizzati o programmi di affiliazione.
Teresa Ribera, vicepresidente della Commissione, ha detto in un comunicato di essere “preoccupata che le politiche di Google non consentano agli editori di essere trattati in modo equo, ragionevole e non discriminatorio nei risultati di ricerca”. Secondo Bruxelles, la regola di Google colpisce modi di fare business normali e accettati anche in altri ambiti, impedendo ai giornali di guadagnare soldi necessari per sopravvivere in un momento difficile per l’industria dell’informazione. L’algoritmo anti-spam, infatti, avrebbe comportato una riduzione significativa del traffico verso i siti dei media, danneggiandoli economicamente.
La società tedesca ActMeraki, con sede ad Amburgo, ha presentato un reclamo formale alla Commissione ad aprile 2025, sostenendo che la policy penalizzasse i siti web legittimi. A sostegno della denuncia si sono schierate anche le principali associazioni europee degli editori che hanno segnalato un calo significativo delle visualizzazioni dopo le modifiche agli algoritmi. L’indagine dovrà concludersi entro dodici mesi e valuterà se le pratiche di Google violino gli obblighi di neutralità imposti dal Dma ai gatekeeper digitali.
La risposta di Google
Da parte sua, Google ha respinto le accuse sostenendo che la policy protegga gli utenti europei da contenuti ingannevoli. Pandu Nayak, chief scientist di Google Search, ha scritto in un post sul blog aziendale che l’indagine sugli sforzi anti-spam dell’azienda sarebbe fuorviante e rischierebbe di danneggiare milioni di utenti europei. L’azienda giustifica la policy come necessaria per impedire agli spammer di acquistare contenuti a pagamento sui siti degli editori per manipolare il posizionamento. Nayak ha anche citato una sentenza di un tribunale tedesco che avrebbe respinto un reclamo simile, stabilendo che la policy anti-spam di Google fosse valida, ragionevole e applicata in modo coerente.



