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martedì, Dic 01

La belva tutto spari, botte e inseguimenti è il B movie italiano che non ti aspetti



Da Wired.it :

Un film d’azione sulla falsariga di quelli americani ma che per una volta non sembra voler emulare e trova una propria identità legittimazione locale. Grazie anche all’interpretazione fisica di Fabrizio Gifuni

Chi l’avrebbe mai detto che Fabrizio Gifuni ha questa faccia da botte…. Ce lo siamo dimenticati ma invece è proprio il lavoro del cinema questo: prendere immagini, volti e luoghi comuni che pensiamo di conoscere e ribaltarli, usarli per creare tutt’altro, sorprendere a partire da ciò che vediamo. In buona sostanza: vedere nelle solite cose, qualcosa di diverso. Questo è La belva, qualcosa di diverso a partire da qualcosa di noto. Un film con una trama molto classica americana (lui è uno pericoloso con tanti traumi, militare con crisi da stress post traumatico mai davvero reinserito nella società; un cattivone gli rapisce la figlia; da lì il delirio), che prende un attore italiano noto per il cinema drammatico, abbonato a ruoli distinti, e mette in scena un racconto di marginalità, disperazione e violenza impeccabile. Applausi.

Ovviamente il merito è tutto da condividere con Fabrizio Gifuni stesso, in scena praticamente per il 90% del film con pochissime linee di dialogo, tante facce da fare (di cui nemmeno una sbagliata) e un buona dose di pugni da dare e da prendere. Per una volta un attore che conosciamo per i ruoli parlati recita davvero quasi solo con il corpo. Non è solo truccato e parruccato in modi diversi e non solo compie una parte importante degli stunt da sé (e bene!) ma è sempre credibile come relitto di una guerra, dimenticato dalla società, stordito da benzodiazepine e quasi contento di poter tornare nell’inferno di violenza per riprendersi la figlia. Anche quando si dimette da solo dall’ospedale con una pistola, a torso nudo, ha il fisico asciutto, nervoso e cattivo che serve. Anche quando sta zitto sembra avere solo brutti pensieri.

Tutto è a tinte forti in questo film, tutto è una piccola iperbole, soprattutto la gang che usando un paio di drogati ha rapito la bambina. È un’iperbole come avviene il rapimento e per quale fine è avvenuto, è una macchietta il boss e così il finale, ma c’è poco da criticare, è esattamente il tono di questo tipo di film: contrasti forti da fumetto mainstream, cattiveria da fumetto indipendente, pianisequenza da cinema. Ce n’è uno sulle scale (un classico dopo quello impossibile di Tony Jaa in The Protector e quello già più umano e replicabile di Atomica bionda) che non può essere paragonato a quelli perfetti del cinema asiatico o a quelli ben mascherati del cinema americano ma è dignitosissimo, come anche un altro in flashback, una fuga quando era soldato, breve ed onesto. Qualcosa che fino all’altro ieri pensavamo che l’industria italiana non fosse pronta a produrre.

Ma non solo. Le difficoltà che La Belva ha superato per arrivare ad essere l’onesto B movie che è sono moltissime. Ad esempio la rappresentazione della polizia, che in Italia è sempre un problema. Sono le forze dell’ordine a fornire mezzi e know how e quindi spesso controllano come vengono rappresentate. E anche quando la rappresentazione non è negativa (come qui) si fa molta fatica a dargli quel tono pericoloso ed efficiente che hanno nel cinema americano. La belva trova un compromesso impeccabile, plausibile, sensato. E complimenti a Lino Musella, che dopo Gifuni ha il ruolo più difficile, il poliziotto che indaga e cerca di fermare la belva. Perché pure la recitazione è un grosso problema. Una buona parte degli attori italiani, anche bravi, non conosce i toni di questo cinema, perché non li pratica (e forse non lo guarda nemmeno). O esagerano troppo o recitano come gli attori americani, suonando fasulli, o sembra stiano proprio recitando male. È molto complicato tararli al contesto dopo una vita di cinema drammatico. Lo stesso Gifuni, nonostante il grandissimo lavoro che fa, quando parla (le poche volte che parla) dimostra una certa fatica a centrare con il dialogo quello che invece centra così bene con il volto e le espressioni. Ma ci arriveremo anche a questo.

Addirittura La belva riesce a mettere in scena un inseguimento onesto e decente, in cui si percepisce la velocità e quel che accade, in cui tutto è credibile e per quanto non siamo dalle parti degli stunt in auto del nostro cinema anni ‘60 e ‘70, è comunque un evidente passo avanti rispetto agli inseguimenti pigri che vediamo le poche volte che vengono girati. Questo film di Ludovico Di Martino (quasi esordiente come tutti quelli che recentemente stanno girando un cinema italiano diverso, che caso eh?!), scritto da lui stesso con Claudia De Angelis e Nicola Ravera, riesce insomma nell’impresa non facile di far fare al pubblico il tifo per un protagonista d’azione italiano, invece di farne disprezzare l’inadeguatezza come siamo abituati a fare. E se pure qualcosa in La belva non è perfetto, la voglia che ha di concentrarsi più sull’agire che sul parlare suona come una rivoluzione d’Ottobre nel nostro panorama. Una rivoluzione che, vale la pena dirlo, difficilmente altre produzioni che non sono Groenlandia (quelli di Smetto quando voglio, Il primo re, Romulus e Il campione che poi sono gli stessi nomi che con altra etichetta hanno fatto Veloce come il vento) avrebbero avallato.

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[Fonte Wired.it]