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martedì, Gen 05

La campagna vaccinale rischia grosso nello scaricabarile fra Arcuri e le regioni



Da Wired.it :

Criticare l’avvio lumaca e chiedere chiarezza e velocità non può essere liquidato come “sproloquio”. Ma le regioni vanno messe nelle condizioni di correre

La campagna vaccinale è partita malissimo. E no, non è “troppo presto per giudicare”. Perché non siamo in una situazione qualsiasi e in molti ci aspettavamo per questa prima settimana un clima in parte diverso. Lo ha appena ribadito anche Massimo Galli, infettivologo del Sacco di Milano, secondo il quale “tutto quello che è mobilitabile a sostegno della campagna vaccinale deve essere mobilitato. Non c’è luogo al mondo in cui si dica ‘vacciniamo tutti, non c’è problema’. In tutti i sistemi sanitari occidentali non è mai stata attuata una vaccinazione di massa e rappresenta una sfida importantissima che ha bisogno di numeri diversi e una certa serenità“. Per poi aggiungere che non è importante “se il motore è un diesel e ha una partenza lenta, mi interessa che arrivi presto a regime“.

Ma che quel diesel ingrani dipende in gran parte da un rapporto che in questi mesi ha dimostrato di non funzionare: quello fra il pluricommissario Domenico Arcuri e le regioni. Proprio in quel balletto, che si sta già trasformando nel solito, insopportabile scaricabarile, si gioca il successo o meno della campagna dei prossimi mesi.

Il difficile arriverà da febbraio, se e quando avremo terminato la primissima platea degli operatori sanitari e degli ospiti e dipendenti delle residenze per anziani. Unità mobili a parte, il grosso delle somministrazioni di questo momento d’esordio si svolge direttamente negli ospedali, fra colleghi, e dunque la sua organizzazione – per quanto a rilento – appare meno preoccupante. L’incubo a cui tutti pensano è appunto il passo seguente: contattare e vaccinare i 4 milioni di ultraottantenni e poi, a seguire, le altre categorie prioritarie e la fascia fra i 60 e gli 80 anni. Per arrivare presto, a primavera inoltrata e salvo altri ritardi con le forniture di vaccini, ad aprire alla restante parte della popolazione per “sperare”, come dice Arcuri, di concludere la campagna in autunno. Eppure un piano dettagliato non c’è: non si sa per esempio dove saranno collocati i 1.200 punti vaccinali aggiuntivi rispetto ai circa 290 attualmente operativi.

Il giudizio deludente su questi primi giorni è naturale. Veniamo d’altronde da mesi di valutazioni errate, promesse mantenute nella migliore delle ipotesi solo a metà, continui ritardi e improvvisazioni totali.  La stessa Commissione Europea chiedeva un piano vaccinale fin da ottobre, lo abbiamo approvato in parlamento solo il 2 dicembre scorso, poco più di un mese fa. Tutto il resto è arrivato, di conseguenza, molto tardi e le regioni si ritrovano ora a cavarsela in gran parte con le proprie forze.

Sul fronte del personale, abbiamo pubblicato i bandi per reclutare i vaccinatori solo a dicembre inoltrato. La loro assunzione è prevista dalla legge di bilancio approvata cinque giorni fa, per cui considerando i tempi tecnici non saranno disponibili prima di febbraio. Servono alle regioni ma deve assumerli lo Stato. Prenderanno servizio in ritardo.

Eppure, al netto delle sparate del (finalmente) defenestrando Gallera sulle ferie dei medici, la sensazione è che le regioni – almeno quelle più virtuose – potrebbero marciare molto più in fretta. Se è dunque vero che Arcuri deve incalzarle ogni minuto, perché ogni minuto perso è un minuto sottratto alla nostra vita, dovrebbe anche riconoscere limiti e ritardi della sua azione, a sua volta legata a quella dell’esecutivo.

La conferma sta nelle parole dell’assessore Alessio D’Amato, responsabile della sanità del Lazio che è il sistema che sta vaccinando più rapidamente e ha somministrato quasi il 70% della prima tranche di dosi: “Dipende tutto dalla disponibilità dei vaccini. La nostra potenzialità è di 25mila dosi al giorno. Alcune strutture, come l’ospedale pediatrico Bambin Gesù, abbiamo dovuto frenarle perché andavano troppo veloci. Dobbiamo conservare la seconda dose che serve per il richiamo. Dobbiamo capire la puntualità delle consegne settimanali. Fino ad allora usiamo solo il 66% dei quantitativi stoccati. Ma la capacità di vaccinare h24 c’è”.

Insomma, alle conclamate inefficienze di alcune regioni si sovrappongono preoccupazioni legittime e molto concrete, in gran parte legati al supporto necessario da parte della struttura centrale e commissariale: dal sistema informatico per il censimento dei vaccinati e la farmacovigilanza, che non è ancora operativo, all’arrivo di medici e infermieri che saranno assunti in queste settimane e dovranno sgravare il personale, già fortemente impegnato nei reparti e nelle terapie intensive (altro che #vaccinareh24, come si chiede su Twitter, senza i rinforzi si faticherà anche solo a tenere i ritmi giornalieri), fino alla lentezza delle forniture e delle autorizzazioni dei vaccini, che ci lega a doppio filo agli impegni presi con gli acquisti europei centralizzati e con i tempi dell’Ema, su cui vedremo solo in estate se avremo fatto la scelta giusta o un fatale errore strategico.

Chiedere chiarezza, velocità ed efficienza sui vaccini non può in alcun modo essere liquidato come “sproloquio”, “delirio”, o “critica a prescindere”: è un diritto sacrosanto dopo un anno di crisi governata male e a colpi di restrizioni. Ora che l’antidoto c’è dobbiamo assistere a uno sforzo ragionato e coordinato che faccia di tutto per rompere i colli di bottiglia. Il timore è che una campagna vaccinale sospesa a mezz’aria fra le responsabilità di una struttura centrale e le inefficienze (talvolta strutturali) dei sistemi sanitari regionali rischi di non avere la forza per farlo.

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[Fonte Wired.it]