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giovedì, Nov 14

La complicatissima battaglia contro la “tampon tax”


Bocciato anche l’emendamento bipartisan per ridurre l’Iva sui prodotti mestruali, l’Italia resta tra i fanalini di coda sul tema. Ma la battaglia culturale va avanti

(foto: Getty Images)

L’emendamento bipartisan per ridurre l’Iva sui prodotti sanitari e igienici femminili, annunciato nei giorni scorsi dalla deputata del Partito Democratico ed ex presidente della Camera Laura Boldrini, è stato dichiarato inammissibile. Si tratta dell’ennesima frenata nella battaglia per la riduzione della cosiddetta Tampon Taxla tassa che equipara di fatto assorbenti esterni, tamponi interni, coppe e spugne mestruali a beni per i quali è prevista l’aliquota ordinaria del 22%, il massimo contemplato dal sistema fiscale italiano.

Quella degli assorbenti igienici come beni di prima necessità è un tema introdotto nelle aule parlamentari dagli esponenti di Possibile, ma ogni tentativo di legiferare nel merito è sempre finito con un nulla di fatto. Fino alla bocciatura in grande stile arrivata alla Camera nello scorso mese di maggio, giustificata dall’allora viceministro dell’Economia Laura Castelli con l’assenza di coperture finanziarie.

Cosa succede nel resto del mondo

L’emendamento sottoscritto da Laura Boldrini insieme a 32 deputate di Pd, Italia Viva, Forza Movimento 5 stelle e Liberi e Uguali, rappresenta comunque un importante segnale nella lotta per l’uguaglianza mestruale, pur mantenendo un approccio più conservativo rispetto alle proposte precedenti.

(foto: Robert DEYRAIL/Gamma-Rapho via Getty Images)

Il testo bocciato in Commissione Finanze prevedeva infatti di portare l’aliquota dei prodotti di igiene femminile al 10%, e dunque nella stessa categoria di birra, biscotti, caffè e cioccolato, mentre tra le attiviste è da tempo maggioritario l’orientamento di chi propone un’aliquota al 4%, la stessa fascia in cui rientrano i rasoi da barba. Da gennaio di quest’anno, tra l’altro, ai tartufi freschi è applicata la tassazione del 5%, aliquota che nel 2018 il presidente della Commissione Igiene e sanità Pierpaolo Sileri (M5s) ha raccomandato di estendere agli assorbenti.

Proprio in queste ore, con uno storico voto del Bundestag, la Germania ha deciso di adeguarsi a un trend che negli ultimi anni ha visto la maggior parte dei paesi europei abbattere la tassazione sui prodotti mestruali. Sull’esempio di Spagna, Francia, Regno Unito, Belgio, Olanda e Irlanda (che ha deciso di non applicare affatto sovrattasse ai prodotti) dal 1 gennaio 2020 anche le donne tedesche potranno acquistare assorbenti igienici con un’imposta del 4%.

E l’Italia? Con la sua aliquota al 22%, cresciuta di 10 punti in meno di 50 anni, il nostro paese occupa la 23esima posizione tra i 28 stati appartenenti all’Unione Europea, facendo meglio solo di Finlandia (dove la tassazione è al 24%), Svezia, Croazia, Danimarca (25%) e Ungheria (27%).

Cosa succede adesso

Rispetto all’isolata battaglia politica (perlomeno all’interno delle sedi istituzionali) avviata nel 2015 da Giuseppe Civati e Beatrice Brignone, la sensibilità sul tema dei diritti mestruali in Italia è decisamente aumentata, ma la strada da fare è ancora tanta.

La riduzione della tampon tax nel nostro paese è ancora un’utopia, ma all’orizzonte si staglia già una lunga serie di battaglie a lungo termine, come quella per il libero accesso ai prodotti mestruali per le detenute, che le carceri italiane hanno iniziato ad acquistare solo negli ultimi anni, ma in numero non ancora sufficiente. O quella, di più ampio respiro, per un welfare in grado di distribuire assorbenti gratuiti a persone che vivono ai margini o sotto la soglia di povertà, come da anni propone Non Una di Meno.

Secondo i dati presentati nel 2018 alla Camera dei Deputati, a margine della proposta di legge per la riduzione della tampon tax, ogni donna nel corso della sua vita fertile deve affrontare 456 cicli mestruali, in tutto 2.280 giorni, che sommati fanno oltre 6 anni di vita. Per l’acquisto dei soli assorbenti, ogni donna spende dunque 1.700 euro, cui andrebbero aggiunti altri 15mila euro di medicinali e anticoncezionali. Una spesa enorme, affrontata da circa metà della popolazione. Ma soprattutto non eludibile.

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