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La Cop30 è cominciata, che ne sarà di questa e delle prossime conferenze? È il momento della verità per Lula e non solo

by | Nov 11, 2025 | Tecnologia


Belém, Brasile – “È il momento della verità”, ha detto Lula più di una volta nei mesi scorsi e con queste parole si apre oggi la Cop30, la Conferenza delle parti sul clima. Il presidente brasiliano si è giocato molta della propria credibilità internazionale sull’evento, che ha fortemente voluto in Amazzonia. Una terra rigogliosa, essenziale per l’equilibrio del Pianeta, ma violata dagli appetiti di petrolieri e agribusiness, oltre che dalle strategie dei governi che si sono susseguiti a Brasilia. Tutti intenzionati a proiettare il paese stabilmente nel novero delle potenze future. Costi quel che costi.

Del resto, commenta Giuseppe Baselice, giornalista che vive in Brasile da anni: “Lula non perderà mai le elezioni sull’ambiente: alla popolazione locale il tema interessa relativamente, e sicuramente meno che alla comunità internazionale”. Il cuore del discorso è l’economia. Un approccio condiviso dalla cosiddetta “maggioranza globale”, nuovo nome per il Global South: come si è visto anche nel summit dei leader – che della Cop è stato l’antipasto – , senza soldi per la transizione in arrivo dai Paesi ricchi, che il cambiamento vada pure in malora.

Si può capire. Ed è questa la scommessa della conferenza di Belém, città da quasi un milione e mezzo di abitanti alle porte dell’Amazzonia: dopo aver scritto tutte le regole necessarie per far funzionare l’Accordo di Parigi, adesso è il momento dell’implementazione. Cioè di dare soldi a chi ne ha più bisogno: per l’adattamento ai disastri del clima, per i sistemi di allerta precoce, per le tecnologie di ottimizzazione delle rinnovabili basate sull’inteligenza artificiale.

L'ingresso della Cop30 a Belm

L’ingresso della Cop30, a BelémAntonio Piemontese/Wired Italia

Il clima (reale) in cui si svolge la Cop30

A Belém fa caldo. Il termometro indica 36 gradi, ma – data l’umidità – quelli percepiti sono molti di più. La camicia si impasta con il sudore, l’umidità si mischia col profumo dei mango che si trovano a terra, dappertutto. Il respiro si fa corto, una cola, un’acqua o una birra, tutto ghiacciato, sono appigli necessari per scalare la torre della giornata. La città è verde, colorata, misto di palazzzi altissimi, torri moderne, ed edifici vecchi, coi fili per stendere il bucato alle finestre. Le zone frquentate dai giornalisti, come sempre capita a queste conferenze, sono le migliori, tirate a lucido; poi c’è l’altra faccia dell’evento: per esempio i lavoratori del sito della Cop30, a cui sembra si volesse impedire di portarsi il pranzo da casa. Dovevano acquistarlo lì, a prezzi occidentali. Una follia, cui pare si sia posto rimedio.

Il Brasile e la crescita economica

Le famiglie felici si somigliano tutte, scriveva Tolstoj; ma quelle infelici lo sono ognuna a modo proprio. Vale anche per i paesi. Il Brasile è ricco di disuguaglianze e contrasti, grande è la povertà, sfrenati possono essere lusso e violenza: ma non c’è nulla della rabbia del Medio Oriente, non c’è nemmeno la confusione che spesso interessa città africane come Nairobi, per esempio. La calma placida della domenica, i negozi tutti chiusi nel giorno della festa e le signore che accompagnano le madri in chiesa, leggere nei propri abiti svolazzanti: questo si vede, coi banchi affollati, e i poveri fuori. E poi, la gentilezza,che in quel cantanto che è la lingua portoghese può farsi musica. “Gesù mio”, ripete dolcemente il diacono Rodrigo. E’ venuto a prendermi all’aeroporto per condurmi alla casa dei padri Barnanbiti dove alloggerò: e l’invocazione, nella sua bocca, non sa nemmeno un po’ di blasfemia. Piuttosto, di amore, e sopportazione di una vita che può essere bella anche all’epoca dei Musk e dei Trump, di Gaza e dell’Ucraina, dei blitz nelle favelas e dell’arresto di un ex presidente – Bolsonaro – accusato di aver fomentato una rivolta. Questo è un paese che vuole crescere, si sforza di farlo, e ne ha le carte in regola. Ma il prezzo può essere alto.

Le contraddizioni di Lula

Lula è partito favorendo il lancio del fondo per le foreste, il Tropical forest forever facility. Ma ha anche autorizzato nuove trivellazioni proprio in Amazzonia. È facile sostenere di voler fermare le ruspe che abbattono gli alberi, i macchinari dei petrolieri, e l’assalto dei cercatori d’oro. “Ma come si fa?” si chiede Andrea Torrente, un altro giornalista italiano, uno di quelli con cui – molti anni fa – chi scrive cominciò a “imbrattare” pagine, e che qui vive dal 2009. “E cosa vuol dire sviluppo sostenibile dell’Amazzonia? Come si fa a controllare quello che succede? Si usano i satelliti? E chi ci mette i soldi? ”.

Parliamo di un paese dove affermare che si abita “vicino a Belém” può significare affrontare viaggi di quattro ore in auto. “Certo, i reati ambientali vanno perseguiti: ma ho l’impressione che nessuno sappia come si fa a coniugare preservazione e sviluppo economico”, prosegue Torrente. “Tutto il Brasile riceve sei milioni e mezzo di turisti l’anno: ma il nostro Pantheon, da solo, conta lo stesso numero di visitatori. Serve a dare il senso della proporzione. Chiedersi come far vivere la popolazione amazzonica, per Lula, non è banale: il turismo è scarso, non ci sono fabbriche, mancano le infrastrutture, le ferrovie, le autostrade fanno pena, i voli sono costosi, e le distanze sono enormi. Questo, in sostanza, è ancora un paese che lotta. Ma le cose vanno guardate in prospettiva, cioè negli ultimi trenta o quaranta anni: il Brasile di oggi è molto migliore di quello di allora. E’ diventato una democrazia consolidata. Pil, reddito pro capite, alfabetizzazione, salute sono migliorati”. Probabilmente il cronista brianzolo ha ragione.

“Demarcazione” è la nuova parola d’ordine delle comunità indigene

Democrazia significa che si può manifestare. Finalmente, dopo tre edizioni della conferenza svolte in paesi autoritari, la gente tornerà in piazza sabato prossimo, e lo farà in una manifestazione che avrà risonanza globale. Deborah Sanchez, donna indigena, direttrice di Clarifi, una ong che si batte per la preservazione delle foreste, ci sarà con la sua organizzazione. “Le comunità indigene che vivono nella foresta Amazzonica devono essere in prima linea nella protezione dell’ecosistema”, dice a Wired. “Per noi è casa, il posto dove la nostra gente è nata”.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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