Seleziona una pagina
mercoledì, Ott 16

La crisi Turchia-Siria è innanzitutto un regalo a Putin


Il regime di Bashar al Assad è stato salvato nel 2013 dall’intervento della Russia, che ha fatto della Siria lo scenario del suo ritorno allo status di grande potenza, approfittando del disimpegno americano iniziato già con Barack Obama cinque anni fa. Allora la Russia e l’Iran hanno riempito il vuoto venutosi a creare, combattendo le forze jihadiste dell’Isis, con conseguenze dal punto di vista umanitario e politico ancora da chiarire.

Ora le forze governative siriane stanno entrando in alcune città del nord del paese controllate dai combattenti curdi, i quali hanno accettato in questo modo la protezione del nemico storico pur di salvarsi dai turchi. Il grande beneficiario della destabilizzazione siriana è chi ha reso possibile questa inversione a U: Putin, che sta approfittando della ritirata di Washington per affermarsi come unico leader straniero capace di dialogare con tutti, e far valere il suo peso.

Il presidente russo è da sempre alleato e protettore di Damasco, si diceva, ma al tempo stesso incontra e consulta regolarmente i leader di Iran e Turchia, con cui da anni si consulta per spartirsi le zone d’influenza in Siria (lo stesso Erdogan, prima di avviare l’operazione di pace, qualche giorno fa, l’ha chiamato personalmente al telefono). Nonostante Ankara faccia parte della Nato, la Turchia ha acquistato un sistema di difesa antimissile, S-400, di fabbricazione russa. È inutile dire che Mosca non sembra avere alcuna intenzione di imporre un embargo sulla vendita delle armi ai turchi simile a quello deciso da alcune potenze europee (che tra l’altro non è non è un blocco vero e proprio).

Il presidente russo sta approfittando, insomma, della scelta della Casa Bianca di disimpegnarsi dalle “guerre senza fine” per acquisire uno status centrale nelle trattative. Donald Trump ha detto e ripetuto che gli Stati Uniti non hanno nulla da fare in Medioriente, e che è meglio che i vari attori in gioco si scannino tra loro. Così facendo, sta lasciando campo libero ad altre potenze regionali, molto meno isolazioniste, che divideranno l’area in un nuovo puzzle di schieramenti contrapposti (e molti temono che a riprendere vigore possa essere anche lo Stato islamico).

C’è da credere che tra gli “aspetti chiave della sicurezza mediorientale” che Putin si è ritrovato a discutere in Arabia Saudita nei giorni scorsi non ci fosse certo l’indipendenza culturale ed economica della minoranza curda, quanto piuttosto il “ruolo in ascesa di Mosca nella regione”, come riportato dai media russi. La ritirata di Trump in Siria, per concludere, è stata innanzitutto un bel regalo già scartato per il Cremlino.





Source link