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mercoledì, Gen 13

La Divina Commedia ai tempi del Covid



Da Wired.it :

A 700 anni dalla morte del poeta fiorentino, la sua opera più importante è stata rielaborata dallo scienziato-artista Bruno Cerboni. Il risultato è un’incredibile pandemia dantesca

Quando si vivono le cose dal di dentro, è più difficile raccontarle, prendere le distanze da quello che sta accadendo. Non ci si rende bene conto di quello che succede esattamente e si tende a non dare troppo peso a certi eventi, impegnati a vivere frettolosamente la quotidianità. Per esempio, come viene vissuta l’arte ai tempi della pandemia? Si riesce a osservare con uno sguardo distaccato tutte le rivoluzioni piccole e grandi che si stanno susseguendo in questi mesi? Il rischio è di vedersi passare le cose davanti, senza soffermarsi a riflettere, e di ritrovarsi, dopodomani, un mondo totalmente nuovo sotto gli occhi.

Invece, forse, anche se è estremamente difficile, sarebbe il momento di fermarsi un attimo e capire. Per esempio, in questa strana congiuntura che vede cadere nel 2021, l’anno secondo della pandemia, i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, c’è un grande fermento di storici e artisti. L’occasione è ghiotta, è una coincidenza che fa la gioia di tutti i misteriologi e dei seguaci di profezie alla Nostradamus, e magari qualcuno ha già scritto un romanzo che gioca proprio sulle casualità. Ovviamente, come è naturale che sia, ognuno interpreta Dante a modo suo. Ci sono le descrizioni più didascaliche, che in qualche modo cercano rifugio nel bello e nella presunta soavità dell’arte per fuggire dalle paure quotidiane, e c’è chi invece si cala senza timori nella restituzione artistica di uno scenario reale che sembra ispirato al più inquietante dei film di George A. Romero, dando vita a complesse metanarrazioni in cui non si capisce più che cosa sia vero e cosa no.

Ma per raccontare Dante ai tempi della pandemia serve fissare un altro tassello della questione. In questo momento storico i ruoli sono molto più fluidi, più mobili. Da un anno a questa parte ogni velleità di fare spettacolo è quasi azzerata, perché il vero spettacolo sono i telegiornali, dove le notizie ormai superano di gran lunga ogni tipo di film o di serie. Da qualche anno la realtà ha preso il sopravvento sulla rappresentazione spettacolare della realtà: i fatti di cronaca superano l’immaginazione di registi e sceneggiatori, e vivere ogni giorno per strada o sul tram è come partecipare a un lungometraggio. Gli attori di questa recita malgradita e surreale siamo tutti noi, è la gente comune, che in questa temperie epocale si muove in uno scenario da bolgia dantesca.

Ecco allora la necessità di riuscire ad avere uno sguardo distaccato che consenta di capire che cosa sta succedendo. E forse in questo momento storico bisogna avere il coraggio e l’umiltà di dire, una volta nella vita, che gli artisti non sono del tutto in grado di interpretare il mondo che li circonda. È un’affermazione grossa, che però viene supportata dalla realtà. A questo giro i protagonisti dello storytelling non sono quelli classici, non sono i narratori, i romanzieri, i pittori e i teatranti, che loro malgrado non riuscirebbero mai a superare con le invenzioni quello che sta accadendo. Questa volta i protagonisti sono i medici, gli scienziati, i tecnocrati. Viviamo in una bolgia dantesca in cui abbiamo perso molti riferimenti e gli uomini di scienza sono gli unici ad avere il privilegio di un contatto diretto vero con la realtà. Spiace dirlo, ma in questo momento storico gli artisti classici hanno più una funzione consolatoria, creano soprattutto opere elegiache che raccontano il ripiegarsi dell’umanità su se stessa. Gli scienziati invece creano, e in questo momento la vera opera d’arte, in senso assoluto, è il vaccino contro il covid.

In questa atmosfera cadono anche i 700 anni dalla morte di Dante. Una situazione da sceneggiato, da Segno del comando. E, come dicevamo, anche gli artisti fanno la loro parte, o cercano di farla, spesso schiacciati da eventi troppo grandi per essere raccontati. Forse l’unico modo per ingannare la realtà che non dà tregua è rifugiarsi in un’altra realtà parallela, che però non è più quella della narrazione classica, ormai insufficiente. Ecco, allora, che ricompaiono concetti come virtuale e intelligenza artificiale, strumenti ideali per gli scienziati-artisti di oggi che, come nel caso dell’ottico di cui cantava De André sono in grado di proiettarci in mondi inusitati forse in grado di allontanarci momentaneamente dalla dose di realtà che ci viene somministrata quotidianamente.

Uno degli esempi più interessanti di questa originale sinergia tra arte e scienza è rappresentata dall’arte di Bruno Cerboni, un ingegnere romano che ha vissuto in prima persona tutte le tappe dello sviluppo delle telecomunicazioni e dell’information technology, passando dalle prime mostre interattive in cd-rom a Second Life, vivendo da protagonista tutta quella storia. Cerboni a suo modo è sempre stato un artista. Quindici anni fa ha creato il proprio mondo virtuale, Moondus, che volendo può essere visto come una mega-installazione, e da qualche tempo si dedica all’arte in senso stretto, concentrandosi soprattutto sulle potenzialità offerte dall’intelligenza artificiale. Cerboni, che su Facebook ha 6000 follower e viene chiamato Maestro, con il tempo ha messo a punto una ricerca con tecniche e stili esclusivi, che chiama Smart-Art, e con questo approccio ha superato il Test di Turing con il proprio pubblico. Infatti, come si evince dai numerosi commenti ai suoi post, molto spesso la gente non si accorge se le opere sono state realizzate a mano o con l’ausilio dell’intelligenza artificiale.

C’è una perfetta congiuntura tra passato e presente: i ritratti, le nature morte, le scene d’insieme dei suoi dipinti di pixel giocano molto sulla matericità, e non di rado sembra di trovarsi di fronte a mosaici di nuova generazione. Adesso Bruno Cerboni, visionario al passo coi tempi, si è dedicato a una rilettura della Divina Commedia, un impegno enorme, che lo vede avventurarsi nei territori del web come un novello Doré. L’esplorazione di Cerboni è immaginifica ed ecumenica, abbraccia ogni forma d’arte, ogni ispirazione, e la metabolizza, la rielabora, la condensa e la concentra. Nelle sue opere c’è un condensato di tutto: gli arazzi medievali, i mosaici ravvenati, i gobelins, i videogiochi, la realtà virtuale, Gustave Doré vengono immagazzinati prima dalla sua pantagruelica cultura artistica e poi dall’intelligenza artificiale, che restituisce visioni psichedeliche angelicate che giocano su tutti i possibili tavoli del contrasto e dello stupore. L’unica cosa che manca, dato che si parla comunque di culture digitali, è un’esplorazione metaforica in chiave artistica dell’inferno del dark web.

“Avevo pensato da molto tempo all’illustrazione di libri famosi, come appunto La Divina Commedia, I promessi Sposi, Alice nel Paese delle Meraviglie e mille altri”, spiega Cerboni.“Poi ho ricevuto un invito dal professor Giorgio Grasso a realizzare un’opera per contribuire all’edizione illustrata della Divina Commedia da parte di molti artisti e da pubblicarsi nel corso di quest’anno, a 700 dalla morte di Dante. Questa sollecitazione ha fatto scattare l’ispirazione, la passione e soprattutto la possibilità di impostare un progetto di ricerca con finalità ben precise. Per il momento, come si conviene alle mostre d’arte del tempo della pandemia, le opere dantesche di Cerboni sono esposte in una galleria virtuale su web. Poi, a giugno e a luglio, virus permettendo, dovrebbero seguire mostre in presenza a Firenze, Venezia e Ravenna.

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[Fonte Wired.it]