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martedì, Feb 16

La filmografia scifi di Ridley Scott è una grande epopea sugli androidi



Da Wired.it :

Da Ash, David e Walter della saga di Alien a Madre e Padre di Raised By Wolves, passando per Roy Batty e Deckard di Blade Runner, cosa ci dice il postumanesimo del regista circa il futuro dell’umanità.

Ash, l’inaffidabile androide di Alien: David e Walter, i modelli sintetici di Prometheus e Alien: Covenant; Roy Batty, Rachel, Deckard e Pris, i replicanti braccati di Blade Runner; Madre e Padre, i robot riprogrammati per salvare l’umanità di Raised by Wolves. Ciò che hanno in comune questi personaggi non umani più o meno seminali del panorama cinematografico e televisivo sono la paternità registica di Ridley Scott. L’universo narrativo creato dal regista include anche una manciata di altri androidi di cui Scott non può rivendicare la paternità diretta – come Bishop di Aliens, Call di Alien: La clonazione – tuttavia, tutti sono accomunati da un percorso che descrive le tappe dell’evoluzione di questa “specie” creata dall’uomo a propria immagine e somiglianza.

Che siano i replicanti privi di empatia del romanzo di Philip K Dick trasformati in androidi più umani degli umani nell’adattamento cinematografico di Blade Runner e Blade Runner 2049, o i “sintetici” – gli androidi al servizio della Weyland-Yutani nella saga di Alien – tutti sono accomunati dall’ossessione nei confronti di quell’umanità che, anagraficamente non gli appartiene. Tanto, alla fine, da raggiungere un punto dell’evoluzione che permette loro di affermarsi come il vero, forse l’unico, futuro dell’umanità. Un futuro post umano dove l’umano è obsoleto; o meglio, l’umano è il creatore (i creatori, ovvero gli scienziati che hanno prodotto gli androidi) dei nuovi umani, e quindi, il loro dio.

Facciamo un passo indietro. Il primo androide dell’universo scottiano è Ash, l’unico androide dell’astronave Nostromo. Questo modello – che il più avanzato Bishop definirà, parafrasando, “un modello difettoso, che poteva dare problemi” – si rivela un essere crudele, un robot cattivo, tanto da provocare nella protagonista Ripley un’avversione fisica nei confronti dei suoi simili. È la prima tappa dell’evoluzione degli androidi, di cui fanno parte anche i David e Walter di Prometheus e Covenant, contemporanei di Ash. L’interesse di questo trio nei confronti dell’umanità è ancora distaccato, antagonistico; addirittura, David sperimenta sugli umani come un serial killer sociopatico, manifestando una curiosità dapprima asettica e poi morbosa. I modelli più avanzati – il Bishop di Aliens e la Call di Alien – La clonazione, rappresentano uno stadio dell’evoluzione gigantesco, quello in quello l’androide ambisce allo statuto umano: l’androide vuole farsi uomo.

Prima di parlare di loro, occorre inserire in questa disamina Madre e Padre di Raised by Wolves, l’anello di congiunzione tra Walter e David e tra Bishop e Call. Recentemente il regista britannico si è dedicato alla serie di Hbo Max Raised by Wolves sbarcata lo scorso settembre negli Usa, è da poco visibile in Italia su Sky Atlantic e Now Tv. Ideata da Aaron Guzikowski, ufficialmente esula dall’universo narrativo di Alien, ma Scott è un po’ il Leiji Matsumoto occidentale: le sue opere condividono, più o meno palesemente, lo stesso spazio. Non solo il suo vocabolario visivo rimanda a Prometheus, ma Madre e Padre sono contemporanei di Ash, David e Walter. Per inciso, Covenant è ambientata nel 2104, Alien nel 2122, Raised By Wolves non esibisce date precise ma il periodo è lo stesso, il XXII secolo.

Ridley Scott ha precisato che si tratta di due mitologie diverse, ma “idee, temi e concetti sono i medesimi. Non stiamo cercando di connettere necessariamente le due mitologie, ma senz’altro condividono una parte di dna”. Per noi, è sufficiente che entrambe rivendichino la paternità di Scott. Madre è per alcuni versi il modello successivo a David e Walter, una via di mezzo tra il “cattivo David” e il “buon Walter”: ex arma di distruzione di massa della specie umana, Madre manifesta dapprima un interesse scientifico per i suoi creatori, poi sviluppa sentimenti umani e infine desidera essere come loro anche fisiologicamente. O meglio, carnalmente, sognando di poter fare sesso e partorire come le donne. Tuttavia, la sua natura meccanica è ancora lontana da una vera umanità, e si capisce, molto semplicemente, perché è la stessa Madre a non sentirsi tale.

Bishop si dice programmato per proteggere sempre e comunque il personale umano per il quale è al servizio (emulando i robot asimoviani), ma manifesta un senso del sacrificio che va oltre la programmazione quando salva la piccola Newt dalle grinfie della Regina aliena. Call desidera talmente essere umana da aver sviluppato un’avversione fisica nei confronti di se stessa, arrivando a commentare disgustata la forma dei propri organi interni. Entrambi sono tanto sentimentali, emotivi e fallibili da essere indistinguibili dagli umani, e per chi scrive basta questo per considerarli tali. Si può dibattere sul fatto che Bishop e Call non siano direttamente “figli” di Scott, ma senz’altro fanno parte del suo universo narrativo, generato con la collaborazione produttiva di Walter Hill (lui sì, è coinvolto direttamente in tutti i film della saga di Alien).

Sullo stesso gradino dell’evoluzione si pongono anche Roy Batty, Rachel e Pris, i replicanti di Blade Runner come K, creature in perenne crisi identitaria che pretendono (o meglio, sognano) lo statuto umano e dimostrano di essere altrettanto umani manifestando svariati sentimenti – paura, amore, amicizia, rabbia. Per Dick l’empatia, specialmente quella nei confronti degli animali, è l’unità di misura dell’umanità. George Orwell credeva che la cosa che ci rende più umani è il senso del sacrificio. Secondo Scott, e secondo noi, è ininfluente che la loro origine sia sintetica o naturale: sono senzienti, provano sentimenti, si interrogano su sé stessi e sono in grado di provare empatia e senso di sacrificio, e questo basta a essere umani. In particolare Batty che, alla fine di Blade Runner, sotto la pioggia battente, salva il suo nemico Deckard fornisce la prova della propria umanità. Nel Director’s Cut Scott rende evidente il fatto che anche Deckard sia un replicante, sebbene ignaro della propria natura. Nessuno – neanche lui – si accorge della verità, suggerendo che la posizione (che condividiamo) di Scott sia che in un futuro prossimo, gli androidi possano essere più umani degli umani.

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[Fonte Wired.it]