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mercoledì, Ott 28

La natura non se la passa tanto bene neppure in Europa



Da Wired.it :

Gran parte degli habitat e delle specie è in declino, soprattutto a causa dell’agricoltura intensiva. E ora una falsa riforma delle politiche agricole rischia di azzoppare anche il Green Deal europeo

Siamo abituati a pensare all’Europa come a un modello di virtù nella tutela dell’ambiente, nella lotta ai cambiamenti climatici e nei progetti di conservazione della natura, esportati in ogni parte del mondo, ma sotto i nostri piedi gli ecosistemi sono in profonda sofferenza. Nei giorni scorsi l’Agenzia europea per l’ambiente ha pubblicato un rapporto avvilente sullo stato in cui versa la natura nel Vecchio Continente. Nelle sue pagine si legge infatti che oltre l’80% degli habitat protetti si trova in pessime condizioni, mettendo a rischio tre quarti delle specie che vi abitano. Una situazione talmente grave da spingere il commissario europeo per l’ambiente, gli oceani e la pesca Virginijus Sinkevičius ad affermare che “stiamo perdendo il nostro sistema di supporto vitale”.

Il rapporto esamina lo stato di conservazione di 233 tipologie di habitat che coprono quasi un terzo del territorio dell’Unione Europea, dove vivono 460 specie di uccelli selvatici e quasi 1.400 specie di piante e animali di interesse comunitario, arrivando alla conclusione che appena il 15% degli habitat si può considerare in buone condizioni. A vedersela peggio sono gli ambienti costieri, dune, torbiere e zone paludose un tempo ricche di biodiversità. Le foreste se la passano un po’ meglio e il rapporto elenca alcuni successi negli sforzi di conservazione, come il ritorno del lupo in Belgio e in Germania, o la ripresa delle popolazioni di lucertole muraiole in Italia. Ma a causa delle pressioni esercitate sugli ecosistemi dalle attività umane – agricoltura, inquinamento, consumo di suolo – l’Europa rischia di diventare un territorio desolato.

Nei cieli la caccia è responsabile ogni anno dell’uccisione di 52 milioni di uccelli selvatici, mentre nei mari la pesca eccessiva ha ormai decimato le popolazioni ittiche perché le quote di pesca non rispettano le indicazioni della comunità scientifica. Sulla terraferma, invece, il rapporto punta il dito soprattutto sull’agricoltura intensiva, che in Europa continua a godere di enormi sussidi nonostante sia tra le cause principali della perdita di biodiversità e della crisi climatica. Giusto un anno fa oltre 3.600 scienziati avevano scritto una lettera aperta a Ursula von der Leyen, fresca di nomina  alla presidenza della Commissione europea, per invocare una riforma radicale della Politica agricola comune (Pac), il più generoso programma di sussidi del mondo, che assorbe oltre un terzo del bilancio dell’Unione ma sovvenziona soprattutto l’agricoltura intensiva e l’allevamento industriale.

Il tentativo di rendere più sostenibili le attività agricole si è però infranto lo scorso 20 ottobre quando l’europarlamento di Strasburgo, dopo quattro giorni di negoziati, ha approvato una riforma talmente annacquata che, anziché arginare il degrado ambientale, rischia di essere una batosta anche per le ambizioni del Green Deal europeo. Sebbene siano state introdotte norme per incentivare pratiche agronomiche verdi e sanzioni più severe per punire le infrazioni reiterate delle norme ambientali, le associazioni ecologiste hanno sonoramente bocciato l’accordo, giudicato un compromesso al ribasso tutto a favore dei grandi latifondisti, degli allevamenti intensivi e dei produttori di fitofarmaci e fertilizzanti. Persino il commissario europeo per l’agricoltura, Janusz Wojciechowski, ha dovuto ammettere che l’accordo raggiunto è incompatibile con gli obiettivi del Green Deal, di cui la riforma della Pac doveva essere un pilastro.

Tra una discussione e l’altra sul fatto che gli hamburger vegetali potessero ancora chiamarsi hamburger (sì, potranno chiamarsi così anche se ai produttori di carne l’idea non piace affatto), un patto fra il Partito popolare europeo (Ppe), i Socialisti e democratici (S&D) e Renew Europe (il gruppo dei liberali) ha permesso di raggiungere l’accordo sulla nuova Pac, che entrerà in vigore nel 2022 e sarà finanziata con 387 miliardi di euro per il periodo 2021-2027. La forma finale della riforma dipenderà però dall’esito dei negoziati fra Parlamento europeo, Commissione europea e governi degli Stati membri, che dovrebbero concludersi nei primi mesi del prossimo anno.

Senza modifiche sostanziali, a essere traditi saranno anzitutto gli obiettivi della strategia Farm to fork (dalla fattoria alla forchetta) promossa dall’Unione europea per un modello agroalimentare sostenibile, che entro il 2030 avrebbe dovuto ridurre del 50% l’uso dei fitofarmaci e del 20% quello dei fertilizzanti, dimezzare gli antibiotici negli allevamenti e nell’acquacoltura, e destinare almeno un quarto dei suoli coltivati all’agricoltura biologica.

Se invece l’accordo raggiunto dagli eurodeputati reggerà, a rimetterci, oltre all’ambiente, saranno ancora una volta i piccoli agricoltori, che si stima otterranno appena il 6% del budget stanziato, perché in buona sostanza resterà inalterata la sproporzione che premia con l’80% dei sussidi il 20% delle aziende agricole europee, quelle di maggiori dimensioni.

Nell’attesa di sapere come andrà a finire, la proposta di riforma ha ricevuto il plauso della nostra ministra delle Politiche agricole alimentari e forestali, Teresa Bellanova. Ma per Hans Bruyninckx, direttore esecutivo dell’Agenzia europea dell’ambiente, “salvaguardare la salute e la resilienza della natura europea, e il benessere delle persone, richiede cambiamenti radicali nel modo in cui produciamo e consumiamo il cibo, gestiamo le foreste e costruiamo città”. Niente di tutto questo, almeno per il momento. La rivoluzione in agricoltura può attendere, con buona pace della natura d’Europa.

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[Fonte Wired.it]