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lunedì, Gen 20

La realtà virtuale che fa rivivere l’incubo dei migranti


Quando pensiamo ai visori, forse, l’ultima cosa che ci viene in mente è il tema dei migranti. Eppure, la moderna tecnologia unita a nuovi linguaggi cinematografici ci può aiutare a capire meglio questo fenomeno. Come dimostrano tre lavori presentati ora al Trieste Film Festival

Migranti salvati in Sicilia, aprile 2018 (foto: Gabriele Maricchiolo/NurPhoto via Getty Images)
Migranti salvati in Sicilia, aprile 2018 (foto: Gabriele Maricchiolo/NurPhoto via Getty Images)

Che cosa significhi scappare dall’Africa, per cercare rifugio in Europa attraverso dei barconi di fortuna, lo può sapere veramente solo chi quell’esperienza l’ha vissuta. Sembra banale dirlo, ma è un’esperienza talmente forte e dolorosa che non si avvicina minimamente alla quotidianità di una normale vita occidentale.

Certo, possiamo leggere reportage, guardare documentari e ascoltare le testimonianze. Ma anche la moderna tecnologia audiovisiva può aiutarci a sfiorare alcune sensazioni provate dai migranti del Mediterraneo

Mare Nostrum. The Nightmare è il titolo di un coraggioso lavoro della regista Stefania Casini, nonché una delle novità del Trieste Film Festival. Si tratta di una sorta di cortometraggio immersivo a 360 gradi in realtà virtuale. Indossando un visore, lo spettatore in soli 11 minuti rivive (seppur con tutti i limiti del caso) lo spaesamento e l’angoscia di una tragica traversata.

La storia

Spettatore con il visore VR (crediti foto: Davide Ludovisi)
Spettatore con il visore VR (crediti foto: Davide Ludovisi)

Si inizia assistendo all’addio di una madre al figlio tredicenne. Ci guardiamo intorno, siamo in un tinello di una povera abitazione nordafricana. La mamma, però, si rivolge direttamente a noi, capiamo che ci raccomanda di fare attenzione al suo bambino, che è triste e spaventato. Lei gli dà l’unica cosa preziosa che conserva: un Corano.

Dopo un po’ di trambusto ci ritroviamo in uno spazio tremendo. Siamo in una cella, probabilmente in Libia. Attorno a noi altri disperati, sembrano agitati. Improvvisamente irrompe una persona armata e siamo sbrigativamente invitati a uscire. 

La scena cambia. Ora siamo in un nuovo spazio buio e angosciante, assieme a una decina di prigionieri. I carcerieri stanno controllando sommariamente lo stato di salute del tredicenne che ci accompagna. L’incalzare dei rumori di guerriglia all’esterno spinge tutti a scappare via.

Le scene successive si svolgono in una claustrofobica stiva di un’imbarcazione, con uomini e donne. Il temporale e il maremoto non fanno ben sperare. Alcuni pregano, altri sono atterriti dalla paura. Il ragazzino sembra aver abbandonato ogni speranza.

Un lavoro complesso

Il set di Mare Nostrum. The Nightmare (foto fornita dal Trieste Film Festival)
Il set di Mare Nostrum. The Nightmare (foto: fornita dal Trieste Film Festival)

Sorvoliamo l’ultima scena per evitare spoiler, però sono 11 minuti molto intensi. Il lavoro, ultimato nel 2019, è durato due anni e ha utilizzato tecniche miste. In gran parte riprese dal vivo ma utilizzando anche effetti Cgi, coinvolgendo diverse professionalità internazionali. 

Quasi tutto è stato girato in Italia. In Sardegna hanno ricreato i lager libici in un’ex miniera. 

La ricostruzione degli ambienti ha implicato un lavoro di ricerca minuzioso, anche sul campo. Tranne la madre, nessuno nel corto è un attore. Il ragazzino, italo-marocchino, in realtà non è un migrante, gli altri sì. Hanno tutti vissuto un’esperienza analoga a quella ricreata. Carcere libico compreso.

“Avevo un canovaccio, ma  in realtà è stato sviluppato assieme a loro. Così sono riusciti a riprodurre un passato che avevano vissuto, li ho lasciati molto liberi”. A Wired Stefania Casini racconta come ha voluto coinvolgere lo spettatore in prima persona nella storia. 

L’impronta cinematografica è evidente anche dalla qualità della fotografia e del suono. D’altronde Casini ha anche lavorato con registi come Peter Greenaway e Bernardo Bertolucci. “Volevo che lo spettatore non fosse l’occhio oggettivo che guarda la vicenda, bensì che provasse lo stesso spaesamento, malinconia, paura e noia. Che poi  sono le emozioni dei migranti che intraprendono quel viaggio”, spiega. 

Una nuova cinematografia immersiva per raccontare in breve un tema del genere sta prendendo sempre più piede. Mare Nostrum, infatti, non è l’unico lavoro in realtà virtuale a tema migranti presente al Trieste Film Festival. Medusa Act II, di Sara Tirelli, è un cortometraggio che fa vivere allo spettatore una performance artistica ispirata anch’essa ai naufragi nel Mediterraneo. The Key di Claire Aran è invece un’esperienza interattiva, che usa l’animazione 3D per raccontare metaforicamente le emozioni della migrazione.

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