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martedì, Nov 03

La regina degli scacchi, la serie che sta dando scacco matto a tutte le altre



Da Wired.it :

Non è solo una parabola femminista su una ragazzina che emerge in un mondo di maschi, ma una storia di genio e sregolatezza, determinazione e fantasmi interiori. Portata avanti da una prova d’attore… scusate, d’attrice, strepitosa

Chi scrive ammette un pregiudizio. Ho atteso qualche giorno per guardare La regina degli scacchi nel timore che fosse la solita solfa della ragazzina geniale cresciuta in un contesto disagiato, con la “novità” dell’ambiente degli scacchi, prevalentemente maschile e maschilista, e conseguente probabile discorso di genere sull’eccezionalità di essere una donna.
C’è sicuramente tutto questo, nella miniserie di sette episodi che sta spopolando su Netflix, ma c’è molto di più. Intanto si dovrebbe partire dal romanzo omonimo che Walter Tevis scrisse nell’83, per raccontare appunto la storia di Elizabeth Harmon, ragazzina geniale che fa della sua passione – gli scacchi, appunto – la svolta della sua esistenza, arrivando a ottenere un riscatto sociale ed economico nell’America degli anni ’60.

La miniserie sta spopolando perché è la storia di una fenice che si rialza dalle sue ceneri di dolore (la perdita della madre, l’infanzia in orfanotrofio) e riesce a trasformarle in determinazione a vincere. Il femminile le dà una marcia di ostinazione in più: in un tempo in cui le donne erano sottovalutate da certi club e giochi, come appunto gli scacchi, lei arriva a primeggiare e diventare un’apripista. È il leitmotiv che convince gli spettatori di tutto il mondo da sempre: dal leggendario “nessuno mette Baby in un angolo” di Flashdance fino, per restare in casa Netflix, a Unorthodox, altra miniserie su una ragazza decisa a scegliersi autonomamente il proprio destino contando solo su se stessa e sulla propria passione (la musica).
https://www.youtube.com/watch?v=Ya1MgSu8Pxc

Determinazione, passione, rabbia per abbandoni mai pienamente elaborati, genio, emancipazione: bastano questi elementi a fare di una miniserie qualcosa di imperdibile nel 2020? Forse sì, se come in questo caso accompagnati da una buona regia e da una performance attoriale clamorosa come quella che regala la magnetica Anya Taylor-Joy, basata sull’ottima scrittura del personaggio ad opera di Scott Frank e Allan Scott, un carattere indomabile, puntualmente allergico alla via più facile.

In realtà ciò che rende davvero interessante questa storia è la sfida che c’è dietro: perché Elizabeth mira a tutti i costi a primeggiare? Quali sono i fantasmi interiori che non intende affrontare? Perché gli scacchi diventano, in buona sostanza, la sua via di fuga dal reale? Ecco che la miniserie si fa interessante quando, nel mettere in scena un crescendo di genio e sregolatezza, senza risparmiare nulla sugli eccessi autodistruttivi di una baby prodigio che sin da subito abusa di sostanze psicotrope e alcol, affronta lo spettro della depressione e della dipendenza. È l’altro volto del successo precoce, l’isolamento e la solitudine da una parte, il costante mancato senso di appartenenza a chicchessia  e il malessere che impedisce la gratificazione per qualsiasi vittoria dall’altra. Nel mezzo, solo una ragazza talentuosa costretta ad affrontare una vita costellata di dolore, che cerca rifugio e sostegno in una pillola, come in una bottiglia.

È una grande metafora sulla difficoltà crescere e diventare adulti, La regina degli scacchi: neanche un genio si salva da solo. Solo se Beth capirà di poter essere se stessa “con gli altri” ed emergere anche in piena sobrietà farà davvero scacco matto.

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[Fonte Wired.it]