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lunedì, Set 07

La seconda guerra mondiale si studia anche con i videogame



Da Wired.it :

75 anni fa finiva il conflitto. Anche i videogiochi, oggi, possono diventare documentazione storica

Call of Duty: World War II (immagine: Sledgehammer Games)

La nostra generazione corre un rischio nuovo: al contrario di quelle che ci hanno preceduto, tra noi non ci sono quasi più testimoni diretti delle guerre mondiali e delle loro mostruosità. Stiamo perdendo la memoria. Quella di chi, anche in piena guerra fredda, era consapevole di cosa comportasse vedere le nazioni del mondo affrontarsi”.

Spese in occasione dell’uscita di Metro Exodus, l’ennesimo capitolo della saga videoludica ispirata alla sua opera letteraria, queste parole di Dmitrij Gluchovskij sono quanto mai attuali nell’anniversario della fine della seconda guerra mondiale: il 2 settembre di 75 anni fa, sulla Uss Missouri, l’atto di resa giapponese sanciva formalmente la conclusione delle ostilità. Città rase al suolo, milioni di morti anche civili, l’Olocausto e due bombe atomiche sarebbero stati il conto, oltre che il monito, della ferocia cieca del “secolo breve”.

Eppure questo prezzo, come sottolineava pochi giorni fa il Time, oggi viene sorprendentemente rimesso in discussione da revisionisti e negazionisti di varia provenienza.

La riflessione di Gluchovskij, un autore la cui ispirazione, come conferma lui stesso, arriva dall’essere cresciuto fra le rovine dell’impero e dell’ideologia sovietica, è cruciale per questo, perché la memoria oggi si stratifica sfruttando mezzi diversi da quelli disponibili fino a solo venti anni fa. Mezzi nuovi e capaci di evolversi con rapidità crescente. Là dove prima erano le testimonianze dirette, i libri, i film, la musica e il teatro a costruire una consapevolezza storica ed emotiva, prima ancora di un discorso pubblico, oggi ci sono anche, se non soprattutto, i videogiochi.

Un’immagine da “Attentat 1942”

Lo ha dimostrato clamorosamente, e in occasione del centenario del primo conflitto mondiale, un capolavoro come Valiant Hearts, un approccio allo studio storico espresso attraverso la leggerezza struggente del disegno interattivo. Non è un caso che all’uscita del suo Salvate il soldato Ryan, consapevole del fatto che il film non sarebbe stato accessibile al pubblico più giovane, Steven Spielberg abbia spinto per realizzare un videogame capace di informare l’audience non raggiungibile dalla pellicola. Il risultato fu Medal of Honor, uno dei franchise bellici più celebri dell’industria del gaming, nato con l’ambizione di diffondere l’interesse per la storia fra i videogiocatori.

Spielberg “ebbe la lungimiranza di capire come una delle forme di intrattenimento emergenti, il gioco, sarebbe diventata dominante. Il suo obbiettivo, come ci spiegò, era creare un videogame sulla seconda guerra mondiale che fosse accessibile ai bambini, in modo da renderli consapevoli delle vicende storiche”.  A ricordarlo, lo scorso febbraio in un’intervista a The Hollywood Reporter, è stato Peter Hirschman, che nel ’99 collaborò alla realizzazione del primo Medal of Honor e che oggi si appresta a lanciarne il prossimo capitolo da game director: atteso alla fine dell’anno, Medal of Honor: Above and Beyond sembra muoversi nel solco tracciato alle sue origini.

Esperienza in prima persona e in realtà virtuale (per Oculus Rift e Oculus Quest), il gioco, che racconta le vicende di un agente dell’Ufficio dei servizi strategici statunitensi nella resistenza francese, dovrebbe contenere diverse sequenze documentaristiche, addirittura “cortometraggi” hanno annunciato i suoi autori. Durante il suo sviluppo, i designer di Respawn Entertainment – gli stessi di Titanfall e Apex Legeds – hanno intervistato diversi veterani del secondo conflitto mondiale, declinandone i racconti nella trama del gioco, che prevede missioni in Europa e Tunisia.

Sul rapporto di paternità fra industria bellica e videogiochi e sulla relazione sempre più proficua fra i due, abbiamo già scritto. La questione affrontata in queste righe è diversa, vuole indagare le capacità di un mezzo espressivo nuovo nel comporre sensibilità, conoscenze e memoria. Visto quanto la potenza del gaming possa facilmente farsi veicolo delle istanze più diverse e fino alla propaganda più spicciola – e in questo senso, pesino allo stesso modo le apologie digitali di massacro di ogni schieramento politico, religioso o ideologico – è opportuno indicare qualche caso virtuoso di trattazione storica in pixel. Beninteso, senza menzionare l’utilizzo extra o “para-ludico” di piattaforme e contenuti esplicitamente nati per la didattica, come quelli raccolti da istituzioni come VR Immersive Education.

Detto altrimenti, come il gioco, quello concepito con l’intento primario di intrattenere e fare soldi, insomma come il videogame “comunemente inteso” affronta e può arricchire la memoria di chi lo frequenta più di qualsiasi altra attività?  Ovviamente, nei modi più disparati. Di cui i tre esempi successivi costituiscono quasi gli estremi.

Attentat 1942

“Games Learning Society Showcase Award”, miglior debutto al “Czech Game of the Year” e Academy Winner al “Gala Serious Game Award”: nel 2015 Attentat 1942 ha lasciato il segno. Sviluppato dalla Charles University di Praga, è un’avventura punta e clicca in grado di raccontare con accuratezza storica e dal punto di vista dei sopravvissuti l’occupazione nazista della Cecoslovacchia. La storia inizia quando il giocatore apprende dell’arresto di suo nonno, Jindřich Jelínek’, subito dopo l’assassinio di Reinhard Heydrich, un nazista di alto rango, l’”architetto dell’Olocausto”, e Reichsprotektor di Boemia e Moravia. Da lì Attentat 1942 diventa un pezzo di storia (familiare) nella Storia, quella dei libri, di cui il protagonista nel gioco non sa nulla: il nonno è coinvolto nell’attentato? E se così fosse, perché l’avrebbe tenuto segreto per anni anche alla sua famiglia?

Bastano due o tre ore per arrivare alla fine, ma grazie al contributo di diversi storici, si ha costantemente l’idea che la vicenda, anche personale, vada ben oltre lo schermo. E meriti, come chissà quante altre, di essere tramandata.

IL 2 Sturmovik

Può un simulatore di volo essere testimonianza storica? La serie IL 2 Sturmovik, inaugurata nel 2001 come un garage project, è la risposta positiva. Spigoloso, con una soglia di ingresso altissima, è realistico in ogni dettaglio, quasi filologico per quanto concerne schieramenti, strategie messe in campo, anzi in cielo, e tecnologie belliche schierate. Soprattutto, ma non solo, in realtà virtuale, essere dentro un cockpit di un caccia in volo su Stalingrado durante una delle battaglie più sanguinose del conflitto dà l’idea di poter dominare l’arena da combattimento, facendo sentire predatori liberi e pericolosissimi. Al contempo costringe al suo opposto: alla sensazione di essere imprigionati in una bara volante e ben esposta al fuoco nemico, senza alcuna via di scampo quando le cose si mettono male.

In entrambi i casi, l’alta dose di realismo di IL 2 Stumovik, insieme con la non marginale capacità di navigazione richiesta a ogni pilota e alla complessità dei comandi (il gioco esige un joystick o un hotas per essere goduto appieno), è un ritratto quasi unico di quanto la tecnologia possa rappresentare l’eccellenza dell’uomo e la tendenza della specie ad (auto)distruggersi.

Call of Duty: WWII

Sembra azzardato parlare in questa breve rassegna della serie che più di tutte è accusata di “ludicizzare” grossolanamente la guerra, di eluderne le conseguenze vere a vantaggio di un’esperienza che si illude di essere “puro intrattenimento”, come se la cosa fosse possibile e come se ogni episodio della serie non trasudi un’ideologia precisa. Altrettanto azzardato è parlarne quando il brand è ormai orientato alla competizione online, meglio se capace di attingere allo scrigno dei battle-royale.

Eppure, quasi fosse un lapsus freudiano, nella sua modalità narrativa World War II culmina in una missione di salvataggio in un campo di concentramento. In quel momento, fra i peggiori cliché di un first person shooter, fa capolino l’Olocausto. E l’esperienza, d’un tratto, diventa straniante: non si combatte più. Non si può. Si può solo attraversare, in silenzio, quello che gli occhi e la memoria non hanno il diritto di lasciar perdere.

Anche per questa sottolineatura, per questa scheggia mnemonica che non ti aspetti, è probabile che il preoccupato Gluchovskij oggi dia al gaming la (sua) storia.

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[Fonte Wired.it]