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mercoledì, Set 02

La sortita di Di Maio in Libia dimostra la debolezza internazionale dell’Italia



Da Wired.it :

Se la visita di Macron in Libano ha garantito un futuro di primo piano della Francia nel Mediterraneo e in Medio Oriente, la trasferta del nostro ministro degli Esteri ha certificato l’inesistenza di un ruolo diplomatico dell’Italia

(foto: ufficio stampa del governo libico / Handout/Anadolu Agency via Getty Images)

Sono giorni di intensa diplomazia nel Mediterraneo, con la ripresa delle missioni internazionali degli stati dopo la pausa vacanziera dei loro rappresentanti istituzionali. Nelle ultime ore due visite diplomatiche su tutte si sono prese la scena: quella del presidente francese Emmanuel Macron in Libano e quella del ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio in Libia. L’obiettivo delle trasferte è lo stesso: guadagnare spazi di influenza nei rispettivi territori, affermarsi come attori di primo piano in aree di interesse strategico, far valere i propri interessi economico-commerciali e spianare la strada per un futuro di protagonismo internazionale. A cambiare però – nettamente – sono gli esiti, che pendono con decisione a favore della Francia.

Macron in Libano ci era già stato 48 ore dopo le violente esplosioni di inizio agosto che hanno sventrato la città. Si è fatto vedere per affermare simbolicamente la vicinanza della Francia al paese, ma anche per dimostrare il ruolo di primo piano che essa vuole avere nella ricostruzione. Con un retrogusto in qualche modo coloniale, dal momento che il paese dei cedri è stato protettorato francese, Macron si è preso il Libano ferito, e nel farlo si è garantito il ruolo di attore protagonista in un Medio Oriente in piena fibrillazione. La visita delle scorse ore, l’ennesima, è un nuovo capitolo della strategia francese di affermazione a livello internazionale, ma anche un modo per inserirsi negli spazi vuoti lasciati nell’area da potenze come gli Stati Uniti e la Russia. La Francia vuole contare in politica estera, e per farlo ha dimostrato che d’ora in poi non potrà essere tenuta fuori da alcuna discussione sul Medio Oriente; il suo contributo nella scelta del nuovo premier libanese, ma anche le carte consegnate al governo con le riforme da attuare per ottenere più aiuti internazionali, dimostrano come la Francia si sia già presa il palcoscenico.

Dall’altra parte c’è Luigi Di Maio, che finiti i bagni rinfrescanti nel mare cristallino della Sardegna è tornato alla noiosa routine di ministro degli Esteri. La visita in Libia delle scorse ore è stata una sorpresa, sia perché non vi era stato alcun annuncio al riguardo, sia perché in questo suo primo anno alla Farnesina siamo stati più abituati a vederlo in trasferta a casa di Andrea Scanzi piuttosto che in missioni internazionali. Di Maio è andato in Libia per seguire le orme di Macron in Libano: per far valere cioè gli interessi italiani nel territorio e affermarsi come punto di riferimento in un paese sferzato da anni di guerra civile, ma che negli ultimi tempi sembra stia vivendo momenti relativamente più affrontabili grazie anche al cessate il fuoco tra le fazioni in lotta, il governo di Fayez al-Serraj a Tripoli e Agila Saleh, presidente del parlamento di Tobruk. Di Maio ha incontrato entrambi e si è parlato esclusivamente di infrastrutture, in particolare la costruzione dell’aeroporto di Tripoli e la realizzazione dell’autostrada litoranea, un modo per garantire commesse alle aziende italiane, che vantano molti crediti per lavori iniziati sul territorio e mai finiti a causa della guerra.

Potrebbe sembrare un fattore positivo, ma in realtà è stato solo la prova della pochezza internazionale dell’Italia rispetto ad altri suoi partner europei. Mentre la Francia si garantiva un ruolo politico, economico e diplomatico di primo piano in Medio Oriente con le sue visite libanesi, Di Maio in Libia – quella Libia così importante ieri e oggi nella politica estera italiana – non è riuscito ad andare oltre l’ergersi a portavoce di un pugno di aziende nostrane. Ma i grandi progetti infrastrutturali di cui ha discusso in Africa non sono altro che una riedizione del berlusconismo in terra libica, un fac simile del pacchetto firmato nel 2008 tra il Cavaliere e il dittatore Gheddafi. 

Di Maio è andato sull’usato sicuro, non si è inventato nulla e non ha preso nuove iniziative, provando a raccogliere un po’ dei rimasugli lasciati sul territorio da Russia e Turchia, le vere potenze protagoniste del dossier libico. L’impegno infrastrutturale italiano peraltro fa un favore a loro: l’Italia partecipa alla ricostruzione libica, ma si tiene fuori da tutto il resto. Di Maio se ne torna così a casa con una stretta di mano degli imprenditori italiani lì impegnati, ma anche con la consapevolezza che non sarà un’autostrada a fare dell’Italia un attore di primo piano nel futuro del paese. Il ministro degli Esteri ha insomma rinunciato a garantire all’Italia quella leadership diplomatica da tempo giocata in Libia, preferendole una mera collaborazione commerciale. Niente di nuovo sotto il sole: anzi, una mossa che si sposa perfettamente con il nulla cosmico camuffato da realpolitik che caratterizza l’inesistente dottrina Di Maio. 

Se in Libano la Francia ha dimostrato di voler e saper essere una potenza nel Mediterraneo, in Libia si è consumata la definitiva rinuncia italiana a qualunque ruolo di responsabilità nell’area: e tanti saluti alla nostra sfera di influenza nel Mediterraneo.

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[Fonte Wired.it]