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mercoledì, Set 11

La sorveglianza smart è un business sicuro?


A Ifa crescono le aziende di sicurezza digitale, ma tra problemi di privacy, algoritmi di riconoscimento facciale e standard di produzione, proteggere casa in modo “intelligente” ha i suoi rischi

Telecamera di videosorveglianza di Yale (foto: Yale)
Telecamera di videosorveglianza di Yale (foto: Yale)

Berlino – In Norvegia Yale ha già passato l’esame, usando le sue serrature digitali per aprire la porta al postino. E ora l’azienda statunitense di serrature, entrata nella galassia della svedese Assa Abloy (7,9 miliardi di euro di fatturato nel 2018) ci riprova a Londra, dove sta sperimentando un sistema digitale che consente di aprire le porte di casa ai corrieri della catena di supermercati Waitrose & Partners.

I fattorini saranno autorizzati ad accedere ai circa 300 indirizzi del programma sperimentale, consegnare la spesa a domicilio mentre il padrone di casa non c’è, arrivare persino a riporla in frigorifero mentre si autofilmano con una Go-pro. Il tutto attraverso la app di Yale, le sue serrature digitali e un sistema di controllo degli accessi.

Questo apre ai nostri clienti le porte del mondo degli affitti brevi o dei servizi a domicilio, come consegne e pulizie”, commenta Kate Clark, direttore generale di Yale per Europa, Medioriente e Africa. E per la manager elimina il problema delle mancate consegne quando a casa non c’è nessuno, “un ostacolo non necessario”.

È scattata la fase due del mercato della sorveglianza e della sicurezza digitale. Una tecnologia che, a detta dei produttori, non serve solo per chiudere fuori, ma anche per aprire casa all’occorrenza. È la strategia per smussare gli spigoli dell’industria del controllo costante: gli occhi puntati sul perimetro di casa, siano telecamere di sicurezza, serrature digitali, spioncini connessi, da severi controllori si presentano come più miti aiutanti della vita quotidiana. E non solo a casa. La taiwanese Brinno, per esempio, vende le sue telecamere da cantiere non solo per sorvegliare i lavori, ma anche per fare video in time-lapse della costruzione per il marketing o per difendersi da una causa.

Lo stand di Ezviz a Ifa 2019 (foto: Luca Zorloni)
Lo stand di Ezviz a Ifa 2019 (foto: Luca Zorloni)

I numeri

Il mercato della sorveglianza digitale sta crescendo. Nel 2018 la società di consulenza Boston consulting group (Bcg) ha calcolato che le società di smart surveillance sono il 21% delle 1.500 aziende censite nel mercato della casa connessa, in assoluto la percentuale più alta. Il mercato della sicurezza è uno dei più attivi: per gli analisti “ha visto un flusso consistente di dollari negli ultimi dieci anni”, perché “la sicurezza è sempre stata una priorità dei consumatori e i dispositivi connessi offrono efficienza nel massimizzare la sicurezza”.

Un caso su tutti: l’acquisizione di Ring, che sviluppa telecamere e citofoni intelligenti, da parte di Amazon, con un investimento stimato di un miliardo di dollari, che ne fa l’operazione più grossa nella storia del colosso dell’ecommerce. Bcg ha osservato che la startup della sorveglianza sono le più numerose tra quelle che investono nella smart home negli Stati Uniti, in Cina e Gran Bretagna. E sono anche tra le calamite che attirano di più gli investimenti dei fondi: il 17% di quelli di Amazon, il 30% di Techstars Central, il 25% di Kleiner Perkins.

Per Memoori, specializzata nello studio degli smart building, entro il 2023 il solo mercato della videosorveglianza muoverà un giro d’affari di 32,64 miliardi di dollari. Quasi il doppio di quanto valeva nel 2017: 17,57 miliardi. Un’impennata giocata propria sulla nuova faccia con cui le aziende si presentano: efficienti portieri di casa e non più solo cani da guardia elettronici.

Lo stand di Yale a Ifa 2019 (foto: Luca Zorloni)
Lo stand di Yale a Ifa 2019 (foto: Luca Zorloni)

Campo di battaglia

Dopo aver colonizzato Stati Uniti e Cina, le aziende di sorveglianza smart hanno messo gli occhi sul mercato europeo. Il vecchio continente, tuttavia, presenta due ostacoli per le imprese. Primo: ogni nazione fa storia a sé. “Le porte sono diverse, di paese in paese, e dobbiamo adattare i nostri dispositivi”, spiega Markus Henkelmann, direttore dell’unità di produzione controllo accessi per le case connesse di Yale, a Ifa, la fiera dell’elettronica di Berlino.

Secondo: le più severe regole sulla privacy, che mettono le aziende alle strette quando spingono sull’identificazione di dati biometrici, l’archiviazione delle informazioni e la sicurezza delle reti. E questo benché standard di sicurezza sull’internet of things ancora non siano stati scritti.

Lo stand di Ring a Ifa 2019 (foto: Luca Zorloni)
Lo stand di Ring a Ifa 2019 (foto: Luca Zorloni)

L’incognita cloud

Per questo le aziende si affrettano a dire che conservano il minor numero di dati possibili o che li lasciano archiviati sui dispositivi stessi. Netatmo, compagnia francese che conta 1,3 milioni di clienti in Europa e 45 milioni di euro di ricavi nel 2017 (ora parte del gruppo Legrand), ha dotato le sue telecamere di riconoscimento facciale. “Se la camera non riconosce un volto, parte la notifica”, spiega a Wired Janina Mattausch, responsabile marketing di prodotto. Ma l’elaborazione, precisa, “avviene sul dispositivo, localmente. Noi vendiamo telecamere, non vogliamo vendere servizi”.

Anche Brinno, 32,8 milioni di dollari nel 2018, ha sviluppato uno spioncino digitale, che all’esterno è tale quale uno tradizionale, e carica le registrazioni video su una scheda interna. “Non archiviamo le informazioni sul cloud”, fa eco Ashton Goof, direttore globale marketing integrato di Arlo, quotata alla Borsa di New York. Nel 2018 l’azienda ha iscritto a bilancio ricavi per 472 milioni di dollari.

Solo Ring ed Ezviz ammettono a chiare lettere che i dati vengono trasferiti sul cloud. “È più semplice per il cliente accedere da ogni parte del mondo ai suoi dispositivo. Inoltre è più sicuro dell’apparecchio, che se viene danneggiato perde le informazioni”, chiosa Dave Ward, direttore prodotti in Europa per Ring.

Nel caso di Ezviz l’archiviazione sulla nuvola è implicita, visto che il braccio per la demotica è nato come il cloud di HikVision, colosso cinese della sorveglianza da 5,3 miliardi di ricavi nel 2018, il più grande operatore al mondo del settore nonché fornitore del governo di Pechino nello Xinjiang, la regione della Cina dove è in corso la repressione della minoranza musulmana uigura.

Lo stand di Ring a Ifa 2019 (foto: Luca Zorloni)
Lo stand di Ring a Ifa 2019 (foto: Luca Zorloni)

Controllo di vicinato

Ma al netto dei dati archiviati, i rischi per la privacy della sorveglianza smart aumentano di pari passo all’affinamento dei dispositivi e delle tecnologie. Specie perché le nuove aziende spingono l’acceleratore su deep learning e intelligenza artificiale per dare valore ai loro prodotti.

Amaryllo, società fondata ad Amsterdam e poi traslocata negli Stati Uniti, dove ha trovato un mercato più ricettivo e punta a quotarsi a New York il prossimo anno, scommette tutto sugli algoritmi che identificano facce, veicoli e animali. “Ora abbiamo lanciato la prima funzione che identifica un principio di incendio e manda una notifica sullo smartphone”, spiega Cindy Kuo, vicedirettore globale marketing.

Il riconoscimento facciale di Amaryllo (foto: Amaryllo)
Il riconoscimento facciale di Amaryllo (foto: Amaryllo)

In Europa, dove è approdata nel 2016 partendo dalla Gran Bretagna, Ring ha messo a punto videocamere di sicurezza per sostituire gli spioncini, che si possono installare negli appartamenti. Ma tutto ciò che avviene sul pianerottolo finisce nell’inquadratura. Ward precisa “che disegnando un perimetro sullo schermo, si possono escludere alcune aree”, ma è una scelta che spetta all’utente. I video, inoltre, “possono già essere scaricati e condivisi”. E Ring sta studiando le tecnologie di riconoscimento facciale, benché non abbia ancora definito una data di uscita. Senza volerlo, quindi, un vicino di casa potrebbe trovarsi nell’archivio dello spioncino digitale del dirimpettaio.

Con Netatmo, che prevede una soluzione simile, il riconoscimento del viso è già disponibile. Così come per Amaryllo. “La nostra telecamera cattura un viso e lo confronta con quello archiviato dall’utente. Gli algoritmi in cloud effettuano la comparazione e, se il volto è sconosciuto, avvertono l’utente”, spiega Cindy. A quel punto si può attivare un allarme, scaricare il viso, spedirlo alle forze di polizia. Per rispettare il Gdpr l’azienda spiega che i volti possono essere oscurati, ma sta all’utente farlo. E le aziende spingono verso modelli di abbonamento alla nuvola, con cui i clienti possono avere più spazio per archiviare i loro dati. Quelli che foraggiano gli algoritmi di riconoscimento delle immagini.

Finora la tecnologia di sorveglianza sconta la scarsa autonomia. E questo ne ha limitato le ambizioni. “Il wifi consuma troppa batteria, ma stiamo lavorando su 5G e wifi 6, sarà la prossima evoluzione dei nostri prodotti”, precisa Henkelmann.

Il riconoscimento facciale di Amaryllo (foto: Amaryllo)
Il riconoscimento facciale di Amaryllo (foto: Amaryllo)

A quel punto, con una rete di occhi elettronici più capillare, robusta, rapida e accessibile da smartphone, smart speaker, ma anche dal frigorifero (come hanno già fatto Ring e Samsung), si creerà quel controllo di vicinato che la sussidiaria di Amazon prevede. E che le è già valsa negli Stati Uniti il faro del senatore del Massachussetts, Edward Markey, che ha scritto al numero uno del gigante dell’ecommerce, Jeff Bezos, per le preoccupazioni che solleva l’archiviazione di tutte queste immagini e la condivisione con almeno 400 forze di polizia. Il tutto all’oscuro dei clienti stessi, come ha scoperto Cnet.

Lo stand di Ring a Ifa 2019 (foto: Luca Zorloni)
Lo stand di Ring a Ifa 2019 (foto: Luca Zorloni)

Faro sull’Europa

Se Cina e Stati Uniti sono ormai mercati maturi, l’Europa offre spazi di manovra alle aziende. Ring, dopo il debutto in Gran Bretagna, si è espansa in Germania, Olanda, Francia, Spagna, Italia e Paesi nordici. A Ifa Amaryllo è a caccia di rivenditori nel vecchio continente, non solo nell’elettronica, ma anche nel mondo del fai-da-te, come Leroy Merlin oppure Obi. Ezviz ha mosso i primi passi dal Belpaese, ricorda Andrea Vanni, direttore Spagna e sud Europa dell’azienda. “A volumi a maggio abbiamo raggiunto una quota di mercato del 32%. Siamo in fase di preparazione e abbiamo realizzato l’anno scorso un fatturato di circa 3 milioni di euro, e quest’anno contiamo di raggiungere i 4-5 milioni”, spiega Venni.

Nel 2017 il Politecnico di Milano ha calcolato che il 31% degli acquisti in Italia per la casa connessa, un mercato da 380 milioni nel 2018, era legato alle tecnologia della sicurezza. Una tendenza confermata da un recente sondaggio del portale Trovaprezzi.

L’Unione europea ha promesso standard più stringenti sugli oggetti connessi e la sorveglianza è tra gli osservati speciali. Amaryllo, per esempio, per ora dichiara di commerciare i suoi algoritmi per l’analisi dei flussi di clienti nei supermercati, che permettono di acquisire dati sul numero totale, sesso, età e altre specifiche demografiche, con i volti oscurati, per effetto dello scudo del Gdpr.

Le telecamere Ezviz a Ifa (foto: Luca Zorloni)
Le telecamere Ezviz a Ifa (foto: Luca Zorloni)

Hacker all’opera

D’altro canto le cronache di telecamere di sicurezza hackerate si susseguono. Il botnet Mirai, per esempio, ha sfruttato la falla di un circuito di videosorveglianza per bloccare la rete internet della costa est degli Stati Uniti nel 2016 con un attacco Ddos (distributed denial of service).

Per Marco Preuss, direttore della squadra di analisi e ricerche globali in Europa per la società di sicurezza informatica Kaspersky, Bruxelles sta impiegando troppo tempo per dettare i suoi standard. “Oggi nessuno comprerebbe un’automobile senza cintura di sicurezza. Lo stesso deve essere per l’internet delle cose”, osserva. Perché, di contro, “i prodotti sono realizzati troppo velocemente, per arrivare sul mercato nel più breve tempo possibile, e questo non permette di considerare le condizioni di sicurezza”.

I rischi di infiltrazioni dentro i sistemi di sorveglianza digitale vanno dalla capacità di propagare attacchi alla possibilità di rubare informazioni personali molto intime, fino allo spionaggio di situazioni critiche. “Un attaccante che si infiltra in queste reti può conoscere abitudini, stili di vita, orari di una famiglia in modo molto preciso”, spiega Preuss. Proprio quella copertura che, per Ring, dovrebbe offrire la possibilità di collegarsi al citofono di casa e parlare anche dall’altra parte del mondo.

Un oggetto connesso è in prima battuta un sensore, che raccoglie e processa dati – osserva Preuss -. Ciascuno di questi pezzi, collegato, disegna profili privati dei consumatori molto dettagliati, che gli hacker possono utilizzare a loro vantaggio. O mettendo in difficoltà l’utente in sistemi che prevedono penalizzazioni, come in campo assicurativo”. E aggiunge: “Questi apparecchi non vengono cambiati ogni anno, quindi stiamo costruendo oggi le reti di domani. Per questo dobbiamo mettere la privacy al primo posto. Ciascun anello debole è un rischio per tutto l’ecosistema”.

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