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La spinta di big tech per arginare la regolamentazione europea su AI e digitale è entrata nel vivo, con il benestare di re Donald

by | Ott 29, 2025 | Tecnologia


Le big tech non hanno mai speso così tanto per fare pressione sui chi decide a Bruxelles. Il budget destinato a fare lobby su funzionari e politici del nostro continente si è impennato negli ultimi anni: dai 97 milioni di euro del 2021 ai 151 milioni del 2025: il 55,6% in più in quattro anni, il 33,6% solo negli ultimi due. Lo afferma un rapporto delle ong Corporate Europe observatory e Lobby control, basato su dati estrapolati dallo Eu Transparency Register. Soldi che servono per pagare eventi, società di relazioni pubbliche, e finanziare centri studi e think tank. Secondo le ong, è in corso un attacco “aggressivo” alle normative comunitarie sul digitale, le più avanzate al mondo: un atteggiamento – quello dell’Unione – che aveva condotto, l’anno scorso, all’adozione dell’AI Act per governare il processo di sviluppo dell’intelligenza artificiale.

Come le big tech stanno cambiando l’Europa

Le big tech vogliono regole più morbide

Non è difficile capire perché i colossi del business digitale (prevalentemente a stelle e strisce, ma non solo) storcono il naso: più regole significa meno opportunità. Così la squad che si fa la guerra quando si deve contendere gli acquisti online si è trovata, per una volta, dalla stessa parte della barricata. E ha reagito chiamando a soccorso amici potenti, come il presidente statunitense Donald Trump, a cui hanno rivolto elogi smisurati in questi mesi. In cambio di un atto di sottomissione impensabile solo qualche anno fa – vale la pena di ricordare che la Silicon Valley è storicamente associata al fronte liberal, cioè democratico –, l’amministrazione populista ha sfoderato tutta la propria potenza di fuoco. Se a gennaio Mark Zuckerberg, fondatore e amministratore delegato di Meta (che possiede Facebook, Instagram e Whatsapp) aveva definito il Digital services act europeo come “censura”, il vicepresidente J.D. Vance lo aveva sostenuto dalla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, affermando che in Europa la libertà di parola sta facendo passi indietro”.

E chiedono sostegno a Trump contro Bruxelles

A febbraio è stato il turno di Trump, che con un ordine esecutivo ha fatto la voce grossa. L’ordine si intitola – nello stile politicamente scorretto divenuto usuale per la Casa Bianca – Difendere le società e gli innovatori americani dalle estorsioni d’oltremare e da multe e penalizzazioni inique. Si tratta di un’invettiva che, neanche a dirlo, minaccia dazi e ritorsioni contro chi prevede tasse sul digitale. Nell’elenco dei paesi attenzionati c’è anche l’Italia.

Gli effetti di questa campagna non hanno tardato a farsi sentire. E per suggerire come scrivere le nuove norme – o modificare quelle già in vigore – le multinazionali del web hanno sguinzagliato eserciti di uomini in giacca e cravatta con accesso ai corridoi del potere. “Ci sono pochi dubbi sul fatto che l’impatto ci sia stato”, dice a Wired Bram Vranken, campaigner di Corporate Europe observatory. “Per tutto l’ultimo anno Big tech ha intensificato l’attività di lobbying spendendo come mai prima – e l’offensiva sta pagando”.

Pochi giorni fa un reportage da Bruxelles condotto dal magazine Politico (sempre molto informato sugli umori delle assise continentali) certificava come nella capitale belga il vento stia cambiando e le voci che premono per una sospensione dell’AI Act stiano guadagnando terreno, trasformando l’Europa, terra dei diritti digitali e non, in una regione guidata dalla preoccupazione di perdere la gara per il futuro. Del resto, l’ex presidente del Consiglio italiano Mario Draghi, voce accorata dell’economia globale (ma portatore di una visione plasmata anche dalle esperienze nell’organico di grandi attori della finanza), aveva bastonato il regolamento europeo sostenendo come fosse “fonte di incertezza”.  I tempi cambiano, e cambia anche il lessico: “Oggi per fermare la governance del digitale si parla di semplificazione”, spiega Vranken, “che è diventata la nuova parola per dire deregulation.

Ma i rischi sono reali, oltre che digitali

Ma i rischi che comporta l’intelligenza artificiale sono altrettanto preoccupanti. E un gruppo di filosofi ha già lanciato l’allarme, mostrando pessimismo per il futuro se al volante di una macchina lanciata a 300 all’ora resteranno solo i business guys. I colossi tecnologici, peraltro, compreso di essere spalleggiati da Washington, ha messo nel mirino anche il Digital markets act e il Digital services act, altre due normative intese a regolare il mercato continentale. Riuscirà a imporsi?

coscienza intelligenza artificiale

Siamo stati a un convegno dove si è acceso il dibattito tra filosofi e scienziati. Per alcuni ChatGPT mostra già forme di consapevolezza, per altri è solo un’illusione

I numeri della lobby tech

Ad avere più incontri di tutti con i funzionari della Commissione, secondo Corporate Europe observatory, sarebbe stata Google, con 416 meeting. Seguono Meta (262) e Microsoft (250). Amazon è “solo” a quota 176; Apple si ferma a 144. Per capire a cosa servono questi rendez-vous può essere utile fare ricorso alla psicologia: si tratta di ricostruire la geografia del potere, di individuare gli anelli deboli su cui fare pressione – usando la leva dei posti di lavoro, per esempio – e ammorbidire i decisori. Il lobbismo, quando è regolato, è questo – e può persino essere utile.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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