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lunedì, Lug 01

La storia della foto di Carola Rackete diffusa illegalmente


L’ha pubblicata un utente neonazista italiano sul maggiore social network russo, viola diverse leggi e anche l’articolo 8 del codice deontologico dei giornalisti

(foto: ANAELLE LE BOUEDEC/AFP/Getty Images)

In queste ore sta circolando sui social una foto segnaletica di Carola Rackete, la comandante della Sea Watch 3 che nei giorni scorsi ha deciso di forzare il blocco navale ed è per questo stata arrestata a Lampedusa. L’immagine – che secondo alcuni è un falso – ritrae la giovane donna seduta durante la procedura di fotosegnalamento, con un agente di polizia in piedi accanto a lei, ed è stata scattata negli uffici della Guardia di Finanza di Lampedusa (Annalisa Camilli di Internazionale dice che si tratta dell’hotspot dell’isola) durante la normale procedura di identificazione.

Dopodiché, qualcuno – al momento non è chiaro chi – l’avrebbe fatta filtrare all’esterno.

Il primo a pubblicarla sarebbe stato un utente con un nome italiano – e simpatie neonaziste, già attivo in propaganda e fake news di estrema destra – del social russo social russo VKontakte, ma la foto (forse opera di un poliziotto) è stata ripresa anche da alcune agenzie stampa e dai siti web di alcune testate italiane. Alcune di queste, come Open, hanno deciso di rimuoverla in un secondo momento: la sua pubblicazione è infatti illegittima e proibita anche dall’articolo 8 del codice deontologico dei giornalisti, in base al quale non è possibile riprodurre immagini di persone in stato di detenzione senza il loro consenso.

Il questore di Agrigento, Rosa Maria Iraci, ha avviato un’indagine interna per individuare i responsabili e capire come e perché la foto è stata diffusa, alimentando, com’era ovvio, la propaganda di destra. Con lo stesso obiettivo, alcuni parlamentari hanno presentato un’interrogazione: Alessia Morani del Pd l’ha definito uno “spettacolo schifoso” mentre il collega e senatore Davide Faraone, che nei giorni scorsi è salito a bordo della Ong, ha parlato di una “vera e propria lapidazione social”. Ma perché pubblicare una foto segnaletica non è  lecito?

Cosa dice la legge

Edmondo Bruti Liberati, già procuratore della Repubblica del Tribunale di Milano, spiega in un articolo su Questione giustizia, la rivista trimestrale di Magistratura democratica, che le foto che ritraggono persone private della libertà personale sono vietate dall’articolo 25 del Codice per la protezione dei dati personali, dal provvedimento 179 del 5 giugno 2012 dell’Autorità di garanzia dei dati personali, dal comma 6 bis dell’articolo 114 e dal comma 3 dell’articolo 329 del codice di procedura penale, dall’articolo 8 del codice deontologico dei giornalisti e da una sentenza Cedu 11 gennaio 2005.

Il principio dietro queste norme è sempre lo stesso: la persona, anche se è stata arrestata o condannata, ha comunque diritto alla privacy e a non essere ritratta in una situazione degradante. Pubblicare una sua foto, specie in una condizione degradante, potrebbe esporla a una gogna mediatica. Non solo: immagini come questa possono influenzare l’opinione pubblica e convincerla che una persona sia colpevole – in quanto ritratta in un luogo associato alla colpevolezza – prima ancora che i fatti siano stati accertati, mettendo in secondo piano la presunzione d’innocenza garantita dalle leggi.

Liberati scrive che, in base all’articolo 115 del codice di procedura penale, infrangere questo divieto equivale a commettere un illecito disciplinare. Salvo le sanzioni previste dalla legge penale, spetta quindi all’organo titolare del potere disciplinare decidere come procedere e che sanzione applicare.

Per quanto riguarda i giornalisti, sono competenti sul caso i consigli territoriali di disciplina istituiti presso i consigli regionali e il consiglio di disciplina nazionale (una specie di organo di appello). Esistono quattro tipo di sanzioni: l’avvertimento, la censura, la sospensione (da due mesi a un anno) e la radiazione. È però improbabile che i giornalisti che hanno diffuso la foto vengano puniti. Come sottolinea anche Liberati, questa abitudine resta spesso impunita ed è possibile trovare diversi esempi online di foto o video che ritraggono, per esempio, persone con le manette ai polsi.

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