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La Storia Infinita ha segnato un momento spartiacque per un’intera generazione di spettatori, nonché per la settima arte, per ciò che il genere fantasy si dimostrò infine capace di poter offrire, superando certi pregiudizi. Di fatto quel 20 luglio 1984, Wolfgang Petersen offrì al mondo un film che, al netto della poca fedeltà all’opera originale di Michale Ende, si dimostrò capace di offrire al pubblico più giovane argomenti complessi, declinati in modo rispettoso e soprattutto seducente dal punto di vista visivo. Dopo 40 anni, la sua legacy rimane imbattibile.

La Storia Infinita 40 anni dopo capolavoro o occasione mancata

La nascita di un cult capace di ridefinire un genere

La Storia Infinita sdoganò presso il pubblico generalista il fantasy come prima non si pensava possibile. Una certezza da cui bisogna partire per comprendere come e perché il film di Wolfgang Petersen rappresenti ancora oggi un mito transgenerazionale. Il tutto a dispetto dell’ostilità aperta di Michael Ende, che fece addirittura causa alla produzione, un fatto più unico che raro, in virtù del quale per una parte del pubblico, il film è ancora oggi poco riuscito, troppo distante dalla finalità dello scrittore. Si trattò ad ogni modo, con i suoi 25 milioni di dollari di budget, della produzione non americana più costosa di sempre. Il risultato fu un film che meravigliò il pubblico più giovane, guidandolo dentro un racconto incredibile per quanto spesso cupo, tragico, ben distante dall’essere evasione fine a sé stessa. La Storia Infinita utilizzò solo la prima metà del romanzo di Ende, Petersen ne cambiò molti elementi narrativi, nonché il finale, dando un’impronta personale. Se Ende ebbe tutte le ragioni a disconoscere il film, occorre però ammettere che Petersen centrò perfettamente il bersaglio che si era prefissato.

Ricchissimo di riferimenti filosofici, politici ed esistenziali, più che stravolgere l’opera di Ende. La Storia Infinita ne dette una sua interpretazione, senza mettere da parte l’intrattenimento, ma anzi utilizzandolo come mezzo di trasporto. Operazione complessa e non poco rischiosa. La Storia Infinita partiva da Bastian (Barret Oliver), un bambino orfano di madre, con un pessimo rapporto con il padre, bullizzato dai suoi coetanei. Entrato in una libreria, vi avrebbe trafugato uno strano libro, nascondendosi nella soffitta della scuola per leggerlo. Sarebbe stato solo l’inizio di una grande fuga dalla realtà, che lo avrebbe infine portato dentro il regno di Fantasia. Quel mondo magico è messo a repentaglio dal Nulla, una sconosciuta entità distruttrice che fagocita ogni elemento. L’imperatrice (Tami Stronach), a cui gli abitanti si affidano, è purtroppo malata, solo il giovanissimo guerriero Atreyu (Noah Hathaway) può salvare la situazione. Petersen fin dall’inizio fa del film uno straordinario racconto interconnesso, in cui l’iter di Bastian e quello di Atreyu altro non sono che lo stesso cercare la sicurezza in sé, la felicità, il combattere le proprie paure e cercare di cambiare la propria vita.

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Il cult di Michael Ende avrà un reboot dopo la mitica pellicola degli anni Ottanta

Il film si connetteva visivamente e come iter in modo profondo alle saghe norrene, orientali, il decadentismo, l’espressionismo tedesco, con l’art director Rolf Zehetbauer e l’esperto di effetti Brian Johnson che utilizzarono il matte painting, modelli in argilla, burattinai, scenografie in blue screen e i primi rudimenti di computer grafica, rendendo il set un laboratorio sperimentale. Fu grazie a loro che La Storia Infinita diventò il prototipo di stile fantasy cinematografico che fino alla trilogia Il Signore degli Anelli di Peter Jackson, avrebbe influenzato ogni altra operazione del genere sul grande schermo in modo profondissimo. Ma più ancora, La Storia Infinita fu un film in grado di parlarci del potere dell’immaginazione, capace di diventare una vera e proprio resistenza interiore. Tutto nel film è declinato secondo il punto di vista dei due protagonisti; sono due ragazzini, gli adulti attorno a loro sono sostanzialmente assenti o ostili, in un racconto di una lotta contro una visione monodirezionale della realtà o supposta tale. Il Nulla, la scuola, gli adulti, tutto questo è un ostacolo al libero arbitrio.

Occorre quindi muoversi verso un altrove, con cui innestare quello che di fatto è quindi anche una sorta di scontro generazionale. Bastian e Atreyu non vengono ascoltati dagli adulti, rappresentati anche metaforicamente da tutte quelle strane, vecchie, onniscienti creature che si pongono sempre su un piano elevato rispetto a loro. Dal livello individuale però, La Storia Infinita sposta tutto verso l’esperienza umana in senso generale e quanto l’arte possa aiutarci nel trovare risposte, nel crearci non solo un mondo in cui trovare noi stessi e ciò che siamo, ma anche manifestare la nostra volontà contro il Nulla. Quel Nulla è più cose, è anche l’omologazione, l’assenza di sogni e speranze che coltiviamo, che ci permettono di essere liberi nel senso più totale. La Storia Infinita rende il Nulla e Gmork, il terribile mannaro avvolto nell’oscurità, simbolo di un’oppressione storica, sistematica, eterna così come è eterna la lotta dei giovani contro i vecchi, del nuovo contro l’antico, attraverso la narrazione che è narrazione del nostro inconscio.

Molto più di un semplice elogio dell’immaginazione infantile

Vi era una componente psicologica universale profondissima nel racconto di Petersen. Lo stesso Gmork, per quanto entità oscura fatta di tristezza e disperazione, allo stesso tempo è anche incredibilmente saggio. Nel finale mostra la sua capacità di leggere in modo tutt’altro che errato la natura dell’uomo come creatura sociale. “È più facile dominare su chi non crede in niente”. Lì Petersen si connette al nazismo che Ende vide coi suoi occhi, alla morte della speranza come strumento dell’asservimento e del controllo da parte dell’oscurità. Senza ombra di dubbio uno dei villain più iconici del cinema di quel decennio, in un film che riesce a donare come pochi altri concetto di apocalisse in senso biblico. Quel Nulla si muove come un’antimateria, è il Ragnarok, l’Apocalisse, metafora della guerra, del totalitarismo, dello schiacciare il diverso dalla norma. Di certo nessun altro film aveva dato un’immagine così terrificante della distruzione dell’esistenza e della coscienza. La Storia Infinita è quindi anche un racconto politico, un film politico, per quanto distante da ciò che Michael Ende aveva declinato nel suo libro in senso stretto.



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