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martedì, Apr 13

La studentessa con la benda ci aiuta a vedere i limiti della scuola italiana



Da Wired.it :

Una professoressa esige che l’interrogata si copra gli occhi per essere certa che non legga le risposte. Alla base di una pratica discutibile, c’è un difetto del nostro sistema scolastico che nasce ben prima del Coronavirus

Una storia di Dad“, l’ha definita la rete degli studenti medi di Verona – “un metodo da inquisizione”.
Un eccesso di zelo” è invece la definizione del Dirigente del Liceo Montanari di Verona, che ha comunque aggiunto: “Abbiamo aperto un procedimento, stiamo verificando”.
La notizia al centro di queste affermazioni è quella della studentessa veneta costretta a bendarsi nel corso di un’interrogazione a distanza, per dimostrare alla professoressa di Lingua e letteratura tedesca che la sua preparazione non era dovuta a qualche appunto nascosto dietro lo schermo. Io concordo con gli studenti: quello del quale tutti oggi parlano è sicuramente un metodo lesivo, ma è soprattutto un’emblematica “storia di Dad”.

Una storia di Dad, non perché tutti gli insegnanti, nel corso di questo lunghissimo anno scolastico, abbiano fatto ricorso a pratiche più che discutibili come quella della sciarpa, ma perché la Dad, come nient’altro fino ad oggi, ha mostrato gli enormi limiti dei programmi e dei metodi di apprendimento nella scuola italiana.
Una larghissima parte degli insegnanti – in particolare quelli delle secondarie di secondo grado, che sono rimaste chiuse o parzialmente chiuse praticamente per tutto l’anno scolastico in corso – condividono il pensiero che il trasferimento delle lezioni e delle verifiche online abbia comportato una diminuzione sia degli apprendimenti che della possibilità di verificarne il possesso da parte degli studenti.

Le verifiche, in particolare, non sono considerate ad oggi equiparabili a quelle della didattica in presenza: perché, se ognuno è a casa sua, com’è possibile evitare che nei compiti (“in classe” si sarebbe detto prima del Covid) e nelle interrogazioni ricorra a qualche aiuto? Genitori pronti a sostituirsi per la verifica di matematica, fratelli maggiori che suggeriscono da dietro lo schermo, magari con in mano uno smartphone aperto su Wikipedia, appunti con cui tappezzare il computer, telecamere che si rompono al momento giusto, libri aperti: i trucchi a disposizione degli studenti lasciati a casa sono innumerevoli.
L’insegnante, d’altra parte, è però responsabile delle valutazioni intermedie e finali e deve verificarne la correttezza.
Come conciliare tutto questo?

Il timore diffuso è che, semplicemente, questi due fattori (la solitudine dello studente dall’altra parte dello schermo, e la necessità di assegnare un voto a fronte della valutazione degli apprendimenti) siano del tutto incompatibili.
Ed ecco quindi che il ritorno in presenza delle scuole superiori rischia di diventare una specie di esame perenne per gli studenti: “Adesso non potete truccare le carte – ha detto la scorsa settimana un insegnante di una scuola con la quale lavoro – Approfitteremo di questi ultimi due mesi per interrogarvi a tutto spiano”. Ma, anche senza andare a toccare il punto centrale della questione (la scuola è il luogo della verifica degli apprendimenti o è il luogo della crescita dei più piccoli e giovani tra i cittadini italiani?) la vicenda di Verona ci racconta un’esigenza urgente per la scuola, anche senza Dad.

Ha senso, nell’era di internet, l’apprendimento nozionistico? Ammesso che lo abbia mai avuto, ha ancora valore conoscere la data della morte di Napoleone, la biografia di Caravaggio, la produzione di barbabietola da zucchero in Emilia Romagna? Insomma, ha senso utilizzare il tempo scuola per apprendere dati, e non metodi? Se volessimo approfittare di quello che ci sta raccontando la Dad per togliere la maschera, o la benda, alla scuola italiana, potremmo scoprire che una scuola che non vuole, non può, non riesce a fidarsi dei suoi studenti è una scuola che non può in alcun modo educare le future generazioni. E che, per iniziare a fidarsi dei propri studenti, basterebbe cambiare metodo.

Imparare a rielaborare i concetti, a farli propri, a costruire connessioni, a parlare anche di se stessi mentre si descrive un quadro o si propone il commento di una poesia. Lasciare spazio all’apprendimento attraverso la scoperta, attraverso il dialogo, lasciare entrare a scuola il mondo, la cronaca, la storia recente, la città.
Ecco, in una scuola così, dove si naviga insieme ma si producono contenuti diversi, approfondimenti personali, rielaborazioni e scambi, non è necessaria nessuna benda perché – anche volendo – non si saprebbe dove andare a copiare. In una scuola così non sarebbe necessario nascondere i bigliettini con le date e con le formule, perché si tratterebbe delle basi, e non del contenuto, della verifica.

Difficile essere oggettivi, dando i voti in una scuola così? Probabile.
Ma bisogna essere molto miopi – tanto per restare in tema – per non vedere che il problema esiste già ora, ed esisteva anche prima del Coronavirus.
La brutta storia della benda è una storia di Dad, si, ma è anche la storia di una scuola che spesso perde di vista gli studenti, pur di certificare la misurabilità degli apprendimenti. 

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[Fonte Wired.it]