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giovedì, Nov 12

La vera rivoluzione di Biden sarà quella dell’ambiente



Da Wired.it :

Prima di ogni altra questione, è quella di ambiente e clima che segnerà il distacco maggiore fra l’amministrazione Trump e la prossima: negli ultimi quattro anni l’America era passata dalla scienza al negazionismo climatico

Il giorno dopo le elezioni presidenziali, una prima amara realtà legata alle scelte di Trump si è fatta notare: dal 4 novembre gli Stati Uniti sono usciti ufficialmente dagli accordi di Parigi sul clima. Ma il president-elect Joe Biden si prepara a cambiare le carte in tavola e riprendere la leadership della lotta al cambiamento climatico a livello internazionale. E anzitutto a lui toccherà il non facile compito di disfare quello che la Casa Bianca ha fatto suo: la lotta all’ambiente.

In quasi tutti i  sondaggi, il cambiamento climatico è stato riscontrato come il problema numero uno o due per gli elettori democratici: “Non c’è dubbio che i recenti disastri legati al clima, inclusi incendi e inondazioni, abbiano motivato molti americani di sinistra ad avvicinarsi alla politica e votare per Joe Biden e i democratici, con la speranza di riportare l’America sulla buona strada per scongiurare un crisi”, ha detto in un comunicato stampa Dana Fisher, professoressa di Sociologia all’Università del Maryland.

Non é dunque a caso che il programma elettorale di Joe Biden abbia provato a rispondere alle grandi paure dell’elettorato, proponendo soluzioni che allo stesso tempo potessero riportare il paese in pole position. Già all’indomani della vittoria, il nuovo presidente ha lanciato una piattaforma dove ha reso note le sue scelte per i prossimi quattro anni: Build Back Better.

Nuova energia pulita

Biden si è presentato alle urne con un piano per una rivoluzione energetica pulita e di giustizia ambientale, proteggendo così la salute dei propri cittadini e nel contempo l’ambiente. La transizione energetica in America sta già avvenendo: negli ultimi cinque anni, l’industria dell’energia pulita ha aggiunto posti di lavoro il 70% più velocemente rispetto all’economia complessiva, tuttavia non è stata sovvenzionata in maniera adeguata. L’agenda climatica è volta alla riduzione del ruolo dei combustibili fossili quali petrolio e carbone e a spostare i finanziamenti verso le rinnovabili. Il piano Biden mira a garantire che gli Stati Uniti raggiungano un’economia di energia pulita al 100% e che raggiungano emissioni nette pari a zero entro il 2050. Biden promette oltre 2.000 miliardi di dollari distribuiti sui quattro anni del suo mandato per finanziare la crescita verde. Come anche l’Unione Europea si appresta a fare attraverso la Renovation Wave, Biden punta a migliorare l’efficienza energetica di 4 milioni di edifici e di porre delle regolamentazioni future di modo da far si che le nuove abitazioni si fondino sul principio di efficienza e resilienza energetica.

No alle lobby

La Casa Bianca di Trump ha definito le limitazioni create dalla tutela dell’ambiente come “gravose normative” che prendono di mira i produttori di energia americani. Le revisioni alle regolamentazioni esistenti effettuate dalla Casa Bianca hanno indebolito i limiti alle soglie di inquinamento, estendendo i termini di conformità a cui le grandi compagnie devono adeguarsi.

Ciò ha consentito per esempio il continuo rilascio di sostanze tossiche nell’ambiente, alti tassi di emissioni nei settori del trasporto e l’estrazione di petrolio dalle riserve naturali. Con un recente comunicato stampa, l’Environmental Protection Agency ha comunicato un’ultima rettifica in cui l’amministrazione Trump ha rimosso le norme ambientali che ostacolano le imprese americane. Come riportato da uno studio sull’acidificazione degli oceani, le società responsabili della maggior parte dell’acidificazione degli oceani e del contributo all’intensificarsi dei cambiamenti climatici fin dagli anni ’60 sono 77 aziende petrolifere tra cui Aramco, Bp, Shell, Coal India, Total, Bhp Billiton, Petrobras, e Anglo American. Durante gli ultimi mesi, Joe Biden ha messo in chiaro un punto: la sua campagna elettorale non era finanziata dalle multinazionali di gas e petrolio, ed anzi, il suo impegno sarebbe stato volto a ridimensionare il ruolo nella politica e nell’economia americana di queste ultimo. 

Il ritorno della diplomazia climatica

Quattro mesi dopo il suo insediamento, il presidente Trump aveva annunciato la decisione di ritirarsi dall’accordo sul clima di Parigi. In questi quattro anni, il  ritiro degli Stati Uniti ha lasciato un vuoto nella leadership internazionale sul clima, chiaramente visibile all’ultima Cop25, in cui i negoziatori americani sono stati assenti, quando non schierati con i paesi produttori di petrolio come l’Arabia Saudita. 

In uno degli ultimi dibattiti presidenziali, Biden ha dichiarato che la prima cosa che avrebbe fatto da presidente sarebbe stato invertire il processo iniziato da Donald Trump. Tutto ciò è stato confermato nel suo discorso alla nazione all’indomani della confermata vittoria e persino in uno dei suoi primi tweet, in cui ha contatto i giorni che lo dividono dal fare ciò (esattamente 77). 

L’Unione Europea si è trovata unico grande attore a trainare i negoziati e il messaggio di Biden suona già come un buon auspicio nei corridoi – adesso vuoti – del Parlamento Europeo: “Per la prima volta questi due attori  hanno lo stesso obiettivo climatico: la neutralità climatica nel 2050” ha detto Pascal Canfin, presidente della Commissione Ambiente del Parlamento Europeo. “Sono desideroso di lavorare con la nuova
amministrazione e il Congresso degli Stati Uniti per costruire e tessere un Green Deal transatlantico”, ha continuato.

Quasi tutti i paesi possono apprezzare questo ritorno al tavolo dei negoziati climatici: “Le principali economie sanno che si tratta di un inevitabile cambiamento economico e sociale e hanno dimostrato che si schiereranno insieme per portare avanti la cooperazione internazionale sul clima sotto entrambi i risultati”, ha detto Laurence Tubiana, direttrice dell’European Climate Foundation.

Maggiore cooperazione attiva è stata auspicata dai primi messaggi di capi di stati e ministri degli Esteri di molti paesi inclusi Canada, Francia, Germania (ma non l’Italia), che hanno fatto riferimento alla volontà di collaborare insieme e far avanzare gli obiettivi dell’accordo di Parigi sul clima. 

La scienza: il suo nome, il suo ruolo

Tra il 2015 e 2019, gli Stati Uniti hanno registrato oltre 500 miliardi di dollari di costi per disastri meteorologici e climatici, mentre nel 2020 si sono già verificati 16 disastri meteorologici che hanno superato il miliardo di dollari. L’economia statunitense è sulla buona strada per perdere centinaia di miliardi di dollari da impatti sul clima ogni anno entro la fine del secolo. Gli innumerevoli report e le varie catastrofi non sono serviti a far sì che Trump considerasse il cambiamento climatico come una vera e propria crisi: anche perché negli ultimi anni è stata la stessa comunità scientifica internazionale a venire denigrata dal presidente americano.

Già nel 2017, la Casa Bianca aveva ordinato il congelamento della spesa per le sovvenzioni federali presso l’Agenzia per la protezione ambientale ed altre agenzie governative. Queste avrebbero dovuto inoltre limitare l’invio di comunicati stampa e i post sui social media. Una censura alla scienza quindi, in un dilagare di fake news, che ha verosimilmente ridimensionato il ruolo degli scienziati agli occhi dell’opinione pubblica nazionale. In risposta, l’Università della Columbia aveva messo a punto il  Climate Deregulation Tracker, finalizzato a monitorare gli sforzi intrapresi dall’amministrazione Trump per ridimensionare o eliminare del tutto le misure federali di mitigazione e adattamento del clima. Nel contempo, coloro che negli ultimi quattro anni si sono posti in difesa della comunità scientifica – lo ha fatto, tra gli altri, anche movimento ambientalista Fridays for Future guidato dall’attivista Greta Thunberg – hanno ricevuto diretti scherni attraverso i canali social del presidente degli Stati Uniti.

Anche ultimamente il presidente Trump ha cercato di ultimare la sua opera di sistematica riduzione del peso della scienza climatica. È proprio da questo lunedì la decisione di licenziare senza chiare motivazioni Michael Kuperberg, direttore esecutivo del Programma di ricerca sul cambiamento globale, che supervisiona la valutazione del clima nazionale con l’importantissimo National Climate Assessment, per un candidato di posizioni scettiche verso il cambiamento climatico. Qualsiasi danno causato dalla rimozione di Kuperberg potrebbe essere annullato dall’amministrazione Biden, che però vedrà nei prossimi giorni e mesi ulteriori tentativi di complicare il suo arrivo a Washington D.C.

La comunità scientifica si è – non sorprendentemente – sentita sollevata grazie alla svolta arrivata alla Casa Bianca, che potrà permettere alla scienza di essere trattata come tale e di far proseguire il loro lavoro di ricerca senza ostacoli presidenziali comunicati via Twitter.

Più facile a dirsi che a farsi?

Il mandato di Donald Trump è sembrato un tentativo di disfare tutto ciò che il suo predecessore Barack Obama aveva portato avanti in materia di lotta ambientale. Quando e quanto sarà possibile arginare i danni fatti da cinque anni dell’amministrazione di  Trump? Per la facilità della loro emissione, simile a quella dei decreti italiani, molti atti relativi alle politiche ambientali di Trump sono arrivati sotto forma di ordini esecutivi dalla Casa Bianca: questi ultimi possono essere facilmente revocabili dal futuro nuovo presidente. In più, i tempi tecnici per le nuove regolamentazioni nei prossimi due mesi, fino all’insediamento di Biden in gennaio, sarebbero suscettibili di una procedura che consente al Congresso di ribaltare le regole entro 60 giorni dalla loro finalizzazione (al Congressional Review Act). Con le elezioni ancora in corso in Alaska e Georgia, non si saprà fino a gennaio quale partito controllerà il Senato americano.

Rientrare nell’accordo di Parigi sarà una procedura facile: tuttavia, alcune inversioni di marcia relative a regole concluse sotto il mandato di Trump potrebbero rivelarsi più difficili da compiere. L’abrogazione di determinate leggi – come ad esempio l’Affordable Clean Energy e gli Standard sulle emissioni dei veicoli – avranno bisogno di un processo normativo più lungo, che influenzerà i livelli di emissione di anidride carbonica del settore dei trasporti e dell’industria americana.

Certo è che un ritrovato presidente che riconosca l’importanza della questione ambientale dà speranza alle future generazioni e alla comunità scientifica, fornisce un’alleato prezioso per quei paesi che intendono aumentare le ambizioni climatiche a livello internazionale, e pone fine a una politica di favori alle compagnie petrolifere. Da oggi si può dire che un rinnovato capitolo della lotta al cambiamento climatico sulle basi di giustizia sociale e ambientale può cominciare, potendo contare su un prezioso alleato.

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[Fonte Wired.it]