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mercoledì, Nov 18

La vita è bella e La grande bellezza, Iris ripropone due film che fanno ancora discutere



Da Wired.it :

Sorrentino ha copiato Fellini? La sua Roma è da cartolina? Quel carro armato americano non celebra il definitivo imborghesimento di Benigni? Il 19 e il 20 novembre l’emittente trasmette due film da Oscar che non ci hanno mai convinto del tutto

Poche ore fa è stata diramata la lista dei film che si sono candidati alla Commissione dell’ANICA per rappresentare l’Italia alla serata degli Oscar. Si tratta di ben venticinque opere, e di certo non mancheranno le polemiche, gli scontri, le differenze di opinioni… le stesse che ancora oggi infuriano sui due film italiani che per ultimi si sono aggiudicati la statuetta di Miglior Film Straniero: La vita è bella di Roberto Benigni e La grande bellezza di Paolo Sorrentino, che il canale IRIS ripropone in prima serata questa settimana (rispettivamente il 19 e il 20 novembre alle ore 21).

 Si tratta di due film che hanno diviso e continuano a dividere la critica ed il pubblico italiani, venendo sovente definiti come operazioni studiate a tavolino per l’Oscar, afflitte da errori storici, scarsa sensibilità o dal presentare una visione dell’Italia ancora legata a vecchi cliché ormai fuori tempo massimo.

Ogni analisi deve però partire dal presupposto che entrambi sono connessi in modo profondo a quel fenomeno definito come berlusconismo.
Quando Benigni ringraziò con un monologo divenuto leggenda l’Academy per i due Oscar, in Italia governava la sinistra, ma è fuori di dubbio che il paese fosse tutt’uno con il modello culturale, sociale e politico del Cavaliere. 
Fatto più unico che raro per quei tempi, La vita è bella unì destra e sinistra al completo nel plauso, se si esclude qualche critica marginale dalla sinistra estrema, critica che poi negli anni fu ripresa ed amplificata da un’ampia fetta del giornalismo italiano.

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Il mito di Berlusconi era ormai nell’agonia finale invece quando Sorrentino ci fece conoscere il suo Jep Gambardella, ma tale credo edonistico e catodico riviveva nei personaggi, nella vita decadente e superficiale che il regista mostrava, nella “Roma da bere” persa in un’autoreferenzialità nauseante.

 La vita è bella fu salutato come un trionfo del nostro cinema, Benigni con l’Oscar a miglior Film Straniero e soprattutto a miglior Attore, diventò il simbolo del tricolore nel mondo.
 Purtroppo però, le sue successive operazioni cinematografiche furono a dir poco fallimentari ed il suo rinnegare in tempi di grande conflittualità l’impegno politico, il suo appoggiare in seguito una sinistra sempre meno sinistra, espose il film a quelle critiche che a suo tempo erano state messe in disparte dal consenso generale.

Ormai La vita è bella è definito da molti come un film che fu studiato a tavolino per piacere all’Academy, ma che di elevato ha ben poco. Le critiche di personalità quali Liliana Segre, di tanti altri giornalisti, di storici e anche di politici, sono cresciute fino a diventare marea. Molte domande vengono poste oggi verso questo film: davvero è possibile fare dell’ironia sull’Olocausto? Quanto è giusto creare una dimensione di fiaba o disconnettersi dalla realtà in nome della narrazione? Il campo di concentramento è o non è Auschwitz? E quel carro armato nel finale? Perché americano e non russo? Davvero meritava Benigni l’Oscar per il film e non per esempio quel piccolo gioiello di Train de Vie? Per non parlare dell’Oscar a miglior Attore, nell’anno dell’Edward Norton di American History X o del Tom Hanks di Salvate il soldato Ryan.

Ancora oggi, per molti, fu un premio immeritato all’attore italiano. 

Tuttavia ad ognuna di queste domande e critiche, oggettivamente esiste sempre una risposta plausibile e accettabile: Benigni donò una performance attoriale che richiamava a Keaton, a Chaplin, ridava al corpo e all’espressività centralità universale rispetto alla parola, il film commuoveva, divertiva, era una fiaba universale perfetta per il pubblico più giovane ma non solo. Eventuali critiche sulla ricostruzione storica, secondo molti, non reggono di fronte ad un iter narrativo così dichiaratamente metaforico. 
Sono passati più di vent’anni, ma vedere Sophia Loren che grida “Roberto” su quel palco, rimane uno dei più bei momenti della storia del nostro cinema. L’emozione è sempre la stessa. Forse, più che sul film, bisogna anche essere meno ipocriti e dire che per quanto sia cambiata la sensibilità verso certi temi o per quanto La vita è bella sia magari invecchiato male, il fatto che in tutto il mondo sia uno dei più amati di tutti i tempi, ci parla di altro. Ci parla di un’acredine nostrana verso l’artista toscano connessa alla sua persona, al suo essersi “imborghesito”.

Il discorso invece è sicuramente diverso per l’opera di Sorrentino. Film fiume, opulento e ricercato nella forma, intenso, fu accolto abbastanza male dalla critica italiana. 
Si parlò di un film confuso, troppo autoreferenziale, vanesio, freddo e distaccato verso i protagonisti, impietoso, citazionista in modo eccessivo senza però l’onestà di ammetterlo. Poi però all’estero, La grande bellezza fu accolto in modo a dir poco trionfale, per quanto la disamina che Philippe Ridet fece su Le Monde, su un film che dava agli americani l’Italia come essi la immaginavano, contenga sicuramente una grande verità. 
Davvero siamo così noi italiani?

La domanda è viva ancora oggi e la risposta non è affatto semplice. Sicuramente in quel momento, al tramonto dell’era di Arcore, della grande illusione da essa generata, nel colmo della crisi, lo eravamo, magari anche inconsapevolmente. Il che in realtà spiega anche uno dei motivi per cui ancora oggi a molti nell’italico stivale, il film non piace: ci buttava in faccia la realtà, marcava la differenza con quell’umanità mostrata da Fellini ne La dolce vita e da Ettore Scola in La terrazza. 
Eravamo sicuramente migliori prima di finire stregati dalle televisioni del Cavaliere, avevamo più cultura, più umanità, amavamo di più i nostri simili, prima di diventare come Sorrentino ci ha dipinti: fermi negli anni 80 in una sorta di criogenia culturale, decadenti, sleali, egoisti, adoratori di un ego ingiustificato.

Roma è cambiata, l’Italia è cambiata e in quel 2013, come oggi, amavamo dipingerci come le tenere canaglie dei cinepanettoni, piuttosto che affrontare la verità nuda e cruda di Sorrentino.

 In quel 2013, La grande bellezza ebbe la meglio su il bellissimo Il sospetto di Thomas Vinteberg. La grandiosità e complessità del film di Sorrentino, nonché il suo connettersi a Fellini era troppo per non stregare l’Academy. Piuttosto fece e fa ancora discutere, il fatto che il regista abbia sempre negato ogni connessione tra il suo film e La dolce vita, quando tale legame è a dir poco pacifico. 
Sicuramente Sorrentino mostrò tra tante cose positive, anche il suo principale difetto: non sapersi contenere. Il film affrontava tante, troppe tematiche, senza sceglierne una definitiva: il tempo, la morte, la memoria, il concetto di bellezza e la dimensione del sogno e della realtà nella società moderna…tutto questo veniva buttato in un caotico ed affascinante calderone, dove però sovente lo stile sopravanzava il contenuto, o comunque lo limitava.

All’estero, La grande bellezza è poi sicuramente molto amato per come mostra Roma. La Roma dei monumenti, delle serate, dell’antico e moderno, del marmo che avvolge tutto, la città Eterna dove ogni turista sogna di guidare la Vespa come Gregory Peck. In questo, sicuramente un film molto furbo.
 Tuttavia non si può negare la potenza emotiva del film di Sorrentino, la sua capacità unica di commuovere, di regalare emozioni, di legarle ad un iter che per quanto labirintico, rimane affascinate.

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[Fonte Wired.it]