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Da Wired.it :

La Zona Morta a 40 anni dall’uscita, rimane un film di grande originalità, nonché una delle migliori trasposizioni di un romanzo del grande Stephen King. Il merito? Di sua maestà David Cronenberg, che fu capace di mettersi in discussione, restando fedele alla sua semantica di regista, ma anche di connettersi all’originale di King, creando un film tanto accessibile, quanto profondo, in cui il soprannaturale era funzionale ad un’analisi della problematica società di quegli anni.

Il film della svolta concettuale di David Cronenberg

Iter produttivo complicato quello de La Zona Morta. Doveva essere la Lorimar Film Entertainment a portare sul grande schermo il romanzo di Stephen King, ma il progetto non vide mai la luce. Con il suo solito fiuto, Dino De Laurentis ci si gettò a capofitto, riprendendo la sceneggiatura creata da Jeffrey Boam per la Lorimar, per poi chiedere allo stesso King uno script, che si rivelò alquanto carente. Gira che ti rigira, David Cronenberg alla fine trovò il bandolo della matassa assieme a Boam e a Debra Hill. Il risultato finale fu molto diverso dall’originale cartaceo, eppure allo stesso tempo incredibilmente fedele semanticamente a ciò che in esso vi aveva riversato King, a tematiche come l’alienazione, la solitudine nella società moderna, la responsabilità personale. Il tutto però dentro un film dall’estetica elegante e neodecadente, con un Christopher Walken semplicemente fantastico nei panni del protagonista. Il grande attore qui fu un viandante che pareva camminare con la morte al proprio fianco, ma anche animato da una determinazione senza freni. Solo lui poteva dare credibilità e potenza a questo personaggio che, al netto degli eventi incredibili che La Zona Morta gli cuciva addosso, rimane ancora oggi uno dei più legati al concetto di verosimiglianza del fantastico cinematografico. Benché da alcuni sia visto quasi come un “film minore” di quel periodo, soprattutto un Cronenberg minore, questa pellicola rimane un vero e proprio gioiello, capace soprattutto di dare il via ad un nuovo percorso uno dei maestri del body horror.

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L’opera di Michael McDowell, uscita in America negli anni Ottanta e riscoperta recentemente in Francia con un successo incredibile, verrà pubblicata da Neri Pozza. Il primo dei sei volumi, La Piena, è disponibile dal 17 gennaio

La Zona Morta vedeva il grande attore (all’epoca all’apice della popolarità) nei panni del timido professore Johnny Smith. Fidanzato felicemente con Sarah (Brooke Adams) a seguito di un incidente stradale finisce in coma per cinque anni. Quando si risveglia ha perso tutto, Sarah si è risposata, il mondo è cambiato ma soprattutto scopre di avere acquisito un potere sconcertante: tramite il mero contatto fisico egli può prevedere il futuro delle persone con una precisione a dir poco sconcertante. Il dono si rivelerà naturalmente un’arma a doppio taglio per Johnny, ma soprattutto lo guiderà verso un iter di dannazione e assieme di elevazione che gli darà modo di cambiare la Storia in modo radicale. La Zona Morta è un film dalle molte facce. Se da un lato è sicuramente divertente, appassionante nella sua dimensione avventurosa, dall’altro è anche molto distante dalla classicità strutturale che sembra permearlo, connesso al concetto di mutazione, di morte, di tragedia. Cronenberg nel farlo, si connetté in modo palese e magnifico alla concezione del protagonista di cui grandissimi autori: Edgar Allan Poe e Charles Dickens. Del primo Johnny ha l’essere a metà tra due mondi, il suo convivere con un potere oscuro di cui non comprende completamente natura e conseguenze, il finale tragico soprattutto. Con Dickens lo accomuna l’incredibile insieme di maledizioni e sfortune che lo colpisce come se ci fosse un bersaglio fisso sulla sua schiena. La cosa più incredibile è pensare che alcune di esse furono anche eliminate dallo script originale, su tutti un famigerato tumore al cervello.

Un perfetto esempio di equilibrio tematico e stilistico

La splendida fotografia di Mark Irwin ci guida dentro quest’Odissea che in più di un’occasione si connette alla mitologia, al viandante classicamente inteso, oggetto della crudeltà del fato ma anche arbitro del proprio destino entro certi limiti. Johnny lo troverà nel momento in cui entrerà in contatto con Greg Stillson (Michael Sheen), senatore che è portatore di un futuro apocalittico. Ed è qui che La Zona Morta fa un passo ulteriore nell’abbracciare l’identità di oggetto cinematografico simbolico di quel decennio. Gli anni ‘80 sono il decennio reaganiano, ed è impossibile non leggere nella caratterizzazione di Sheen, futuro Presidente dell’olocausto nucleare, un legame con il peggio di ciò che l’ex attore rappresentò alla Casa Bianca. La Zona Morta è un racconto individuale nel pieno della visione cara a Cronenberg certo, è un racconto su una mutazione che è interna, spirituale, che si nutre di visioni sanguinolente e da incubo anche. Ma a conferma dello straordinario equilibrio presente in questo film, il futuro regista di Crimes of Future sposa anche la visione pessimista e accusatoria della società di King, che qui è dominata dai mass media, imbarbarita da populismo e dall’ostracismo verso i diversi. Dei diversi bene o male Johnny Smith, mentre si aggira ambiguo a metà tra aberrazione omicida e missione salvifica, è simbolo chiaro e inequivocabile. In lui si vede anche un fanatismo, una determinazione connessa alla fede che soprattutto sul finale, con la sua morte che ricorda a tutti quanto il melodramma per Cronenberg sia sempre stato centrale.

La Cosa di John Carpenter

Il 25 giugno del 1982, debuttava in sala uno degli sci-fi più iconici e rivoluzionari di sempre, un viaggio dentro la pazzia e l’orrore.

In quegli anni l’horror faceva passi da gigante, il cinema di genere pure. I due mondi erano strettamente legati e Cronenberg assieme a John Carpenter era il simbolo di tutto questo. La Zona Morta rimane a quarant’anni di distanza, pure nella sua natura di film “su commissione”, una delle sue opere di maggior maturità anche perché slegata dal body horror tout court in senso estetico. Carpenter qui fu capace di tratteggiare una dimensione maggiormente metaforica e concettuale, di mutare pelle dietro la macchina presa. Johnny Smith è divorato dal suo dono, ed in lui Cronenberg ha saputo darci una perfetta figura esemplificativa della sofferenza del singolo, quel singolo che lui (al contrario di Carpenter) mette davanti alla collettività, facendone un universo a sé stante. Qualcuno negli anni avrebbe cercato metafore sulla nascente fobia per l’AIDS, sulla solitudine dei malati, ma sono forzature. La verità è che con La Zona Morta, mix di genere in grado di anticipare la tematica del futuro alternativo poi tanto fortunatamente fertile negli anni a venire, Cronenberg rinunciava ad una messa in scena platealmente possente, per abbracciare una maturità formale unica, fatta non di effetti visivi ma di atmosfere, del saper toccare le corde emotive del pubblico. Contemporaneamente, il film rimane anche un’opera di grande profondità sulla violenza di quel decennio nella società e nella politica americane, ne indica problematiche e criticità che, a quarant’anni dall’uscita di questa perla, non sono state assolutamente risolte.



[Fonte Wired.it]