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lunedì, Set 09

L’apocalisse climatica è dietro l’angolo, ma non è la fine del mondo


Lo sostiene lo scrittore americano Jonathan Franzen, che ne ha scritto sul New Yorker: non è realistico pensare di sconfiggere i cambiamenti climatici, è troppo tardi. Meglio prepararsi per ciò che verrà dopo

Jonathan Franzen (foto: David Levenson/Getty Images)

Il romanziere e saggista statunitense Jonathan Franzen ha pubblicato sul New Yorker un articolo in cui sostiene che dobbiamo smettere di pensare a cosa possiamo fare per fermare il cambiamento climatico, dato che secondo lo scrittore il problema non solo esiste, ma è già di fatto inarrestabile, e fingere di poterlo risolvere non cambia la situazione. Molto più utile sarebbe, secondo Franzen, passare alla fase successiva: pensare a sistemi di protezioni in casi di alluvioni e incendi e, soprattutto, costruire un mondo forte e in salute che possa far fronte al caos – sociale e politico – generato da questi sconvolgimenti.

Il messaggio di Franzen parte da una considerazione di carattere generale: ha senso combattere una guerra solo quando ci sono possibilità di vincere. Quella contro il cambiamento climatico non ha speranze di essere vinta, scrive l’autore de Le correzioni. L’uomo sa almeno dal 1988 che esiste il cambiamento climatico e che è un problema. Eppure in questi 30 anni ha fatto ben poco per contrastarlo: pensare che lo faccia ora, nei prossimi 10, non è realistico.

Limitare l’aumento della temperatura entro i 2°C, per esempio, significherebbe non solo rivedere un modello di business ma l’esistenza stessa della società; il suo modo di produrre, di consumare, di vivere. Gli stati dovrebbero capire esattamente cosa produrre, come farlo, quante risorse investire, e ovviamente imporre alla popolazione una serie di misure che questa dovrebbe accettare senza discussione: ma chi è disposto a mettere da parte i suoi piccoli privilegi in favore di un mondo (e persone) ancora lungi dall’essere nati? Oltretutto, spiega Franzen, questo avrebbe anche conseguenze psico-sociali più sottili, costringendo la popolazione a convivere quotidianamente con lo spettro del cambiamento climatico, qualcosa che oggi si ostina a non vedere. Difficile che si riveli una transizione accettabile da tutti: “Ogni giorno, invece di pensare alla colazione, dovranno pensare alla morte”, si legge nell’articolo.

E poi ci sono le previsioni dei climatologi, i dati. Una nuova ricerca, pubblicata il mese scorso su Scientific American, ha dimostrato che i climatologi hanno spesso sottostimato il ritmo e la serietà dei cambiamenti climatici. In buona sostanza, gli obiettivi di inversione del trend che già prima era soltanto teoricamente possibile raggiungere, ora sono ancora più distanti.

Questo scenario, scrive Franzen, ci impone un cambio di prospettiva. Una volta compreso che il cambiamento climatico è un’apocalisse ineluttabile, possiamo iniziare a pensare a come conviverci, per esempio. Oppure a una serie di azioni che possiamo intraprendere per far sì che i suoi effetti sul piano politico e sociale siano meno disastrosi del previsto. Un esempio? Lavorare al mantenimento della democrazia e dello stato di diritto, assicurarsi che le elezioni si svolgano in maniera regolare, combattere le differenze di reddito, il razzismo e l’odio online, promuovere la parità sociale e di genere.

Cosa c’entra tutto questo col clima? A detta dello scrittore, si tratta di impegni che contribuiscono a creare un sistema più forte ed equilibrato. Quando le temperature si alzeranno – costringendo parecchie persone a migrare, e rendendo più evidenti le differenze tra le fasce della popolazione – ci sarà il caos. Se questo si sommerà ad altro caos connaturato ai sistemi sociali ed economici, non ci sarà via d’uscita.

Questo non significa che le persone non devono più riciclare, cercare di adottare uno stile di vita più sostenibile o pretendere che i propri capi di stato e di governo si impegnino sul fronte ambientale. Il punto è che bisogna pensare anche ad altro, spostare la prospettiva da cui si guarda al problema.

Secondo Franzen, dire che abbiamo perso la battaglia contro il cambiamento climatico non è controproducente. Le persone non smetteranno di impegnarsi sul fronte ambientale: al contrario, si daranno più da fare per tutelare ciò che hanno a cuore. Un po’ come quando c’è un terremoto: si sa che non è possibile mettere in salvo tutta la casa, ma non per questo si rinuncia a scappare.

Questo atteggiamento, scrive lo scrittore, servirà a farci convivere meglio con quello che ci aspetta in futuro. Un futuro “indubbiamente peggiore del presente”, ma che “potrebbe anche, in qualche modo, essere migliore”, poiché ci dedicheremo con più urgenza e dedizione a ciò che amiamo e vogliamo preservare.

 

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