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sabato, Set 12

L’assassinio di Willy Monteiro Duarte è un delitto fascista?



Da Wired.it :

Lo sostengono tra gli altri Liliana Segre e Chiara Ferragni. Lo è per il modus operandi e per l’impunità, e senz’altro per molti riferimenti, ma nasce dalla subcultura criminale che guarda più a Gomorra che a Casapound

Willy Monteiro Duarte

Quello di Willy Monteiro Duarte è un omicidio fascista?Il pestaggio di quel ragazzino non solo mi ha colpito, ma mi ha suscitato tormenti e ricordi terribili – ha spiegato a la Stampa la senatrice a vita Liliana Segre, reduce dei campi di sterminio nazisti – l’ho trovata una barbarie assoluta. Vorrei fare mie le parole della presidente della nostra comunità, Noemi Segni, che ha scritto un messaggio bellissimo, ricordando come questa esaltazione non della vittima ma dei suoi persecutori, e si riferisce a tutto ciò che è stato scritto sui social, alla fine ha ucciso ancora e ancora il povero Willy”.

Oppure Chiara Ferragni, che ha parlato di “mentalità fascista”? “E ha ragione – ha aggiunto Segre rispetto alle parole dell’imprenditrice – siamo alle prese con un problema di mentalità fascista che ancora ci pervade e da cui non facciamo mai abbastanza per liberarci. Questa storia è un naufragio di civiltà su cui dovremmo riflettere seriamente”.

Naturalmente non occorre partecipare alle indegne manifestazioni neofasciste o avere in tasca una tessera per impregnarsi di una certa cultura di impunità garantita, intolleranza e xenofobia. E le eventuali aggravanti razziste andranno provate, nulla è escluso. Il contesto storico di certi territori non aiuta, anche se di tempo ne è passato. Certo se il riferimento di Segre, così come di molti altri che sono intervenuti in queste ore di lutto per l’assassinio del 21enne di Paliano, va al modus operandi del blitz e più in generale all’idea del controllo del territorio, alla squadraccia pronta a intervenire per garantirsi i propri affari (cos’altro è il gruppo di amici che si raccoglie intorno ai fratelli Bianchi?) senza dubbio i riferimenti possono essere accolti. Eppure, per assurdo, definire quei fatti come un’aggressione e una violenza di stampo e matrice fascista – cosa che in effetti nessuna delle realtà impegnate sul territorio ha fatto in modo esplicito – mette la questione fuori fuoco e la indebolisce, ignorando le grida d’allarme di un tessuto sociale in difficoltà. Rischia cioè di non cogliere le specificità di territori di provincia abbandonati e impregnati di un’altra sottocultura, quella criminale. Quella di chi, per capirci, guarda più a Gomorra che a CasaPound, per quanto i collegamenti fra crimine organizzato e organizzazioni di questo tipo non manchino.

Questa è gente che vive in perenne conflitto con uno straccio di civismo quotidiano, che ha una concezione proprietaria del territorio e delle persone, che secondo le indagini recupera crediti per i pusher locali, che all’età in cui ci si dovrebbe laureare vanta già una collezione di piccoli ma significativi precedenti alle spalle. La ragione di quegli atteggiamenti, irrobustiti dal culto del corpo e della potenza fisica, è fondamentalmente criminale, lo scrive anche il gip di Velletri Giuseppe Boccaratto che parla di “immotivata e inaudita violenza”. Persone con disponibilità economiche fuori misura per la loro età che spadroneggiano nei paesi e nelle cittadine di una periferia vicina ma al contempo lontanissima dalle grandi città, da cui succhia (e mima) l’humus criminale. E nient’altro.

Le parole del gip, che conferma il carcere voluto dal pm, ci sono ancora d’aiuto. Parlano di “manifesta incapacità di resistere agli impulsi violenti dai tre, non frenati neppure dalla presenza di numerosi testimoni e dalla breve distanza che separava il luogo dell’aggressione dalla caserma dei carabinieri”. Il loro modello e stile di vita sembrerebbe semmai tendere a quello dei Casamonica, la famiglia mafiosa che controlla mezza Roma e da cui passano gli equilibri illeciti di un gran pezzo di territorio, non di certo a un qualche dirigente di qualche sigletta neofascista di cui probabilmente ignorano esistenza e identità. I fratelli Bianchi come gli altri coinvolti non vengono certo dall’ultima route dell’Agesci e Colleferro non è San Francisco, questo è lapalissiano: c’è da scommettere che molte delle posizioni più folli dello sgangherato universo neofascista calzerebbero loro a pennello. Ma il punto, di nuovo, non sembra essere quello.

Lo spiegano bene Alessandro Coltré e Valerio Renzi su Fanpage quando ricordano, invitando a una riflessione più circostanziata, che le associazioni locali, perfino l’Arci, o il sindaco di Colleferro con un passato nell’associazione ambientalista Unione giovani indipendenti nata nel 2005, non hanno parlato di fascismo. Hanno semmai raccontato “una storia più complessa, dove ad avere un peso determinante sono le dinamiche sociali e la criminalità locale emergente, il consumo di stupefacenti e le difficoltà per un territorio – anche se vivo – di mantenere una coesione sociale e un progetto di futuro per la propria comunità”.

Problemi non dissimili da quelli della periferia romana e ovviamente di molte altre grandi città italiane, con cui alcuni paesoni dell’hinterland condividono criticità ambientali, sociali, occupazionali e dei servizi e con cui tirano legami, come d’altronde nel caso laziale con quella dell’Agro pontino. Che poi, a questa oscura piattaforma di vita, possa facilmente legarsi quella mentalità fascista fatta di superomismo, mascolinità avvelenata, logica del blitz punitivo è un discorso non diverso ma parallelo a quello principale. Le cose vanno chiamate sempre col loro nome.

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[Fonte Wired.it]